I bambini e l’ansia: i consigli dell’esperta

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Anche i bambini possono soffrire di crisi di ansia. Come ci si deve confrontare con questo problema? Per scoprirlo, abbiamo chiesto consiglio alla dottoressa Silvia Parisi, psicologo Torino.

PRIMA DI TUTTO, POSSIAMO FORNIRE UNA DEFINIZIONE DI ANSIA?

L’ansia consiste in uno stato d’animo che può essere considerato un mix di preoccupazione, di agitazione e di paura a proposito di un avvenimento futuro che potrebbe avvenire; il livello di consapevolezza da parte del singolo può essere più o meno accentuato. Alcuni sintomi fisici attraverso i quali si manifesta l’ansia sono il mal di pancia, il vomito, il mal di testa e la nausea. Tipici sono anche i comportamenti di evitamento, che consistono – per esempio – nel decidere di non andare in un determinato posto per timore di ciò che potrebbe avvenire.

L’ANSIA È SEMPRE NEGATIVA?

No, al contrario: si tratta di un elemento fondamentale per la sopravvivenza. A livello evolutivo, se l’uomo non avesse temuto la morte, il vuoto o gli animali feroci, ci sarebbero state serie ripercussioni sulla nostra specie. Infatti, la paura serve a generare uno stato di allarme in presenza di pericoli, così che ci si possa proteggere e salvaguardare. Il fatto è, però, che l’ansia comporta una preoccupazione costante, che può coinvolgere alcuni temi o più circostanze. Insomma, l’ansia assume carattere di disfunzionalità nel momento in cui si ha paura di qualcosa che in realtà non mette minimamente a repentaglio la sicurezza. Tutto dipende da un timore che è la conseguenza di una convinzione sbagliata o di una non corretta interpretazione della realtà.

E L’ANSIA NEI BAMBINI PERCHÉ COMPARE?

In realtà tutti i bambini sperimentano la paura o si trovano in ansia in presenza di qualche novità, come per esempio il primo giorno di scuola alle elementari o alle medie, ma anche la prima gita con l’oratorio, e così via. Deve essere chiaro che l’ansia di per sé è parte integrante della vita emotiva di ognuno di noi. Si tratta di uno stato d’animo che si manifesta già quando si è bambini e che poi diventa una compagna fedele per il resto della vita. Tuttavia, può rappresentare un problema se il bambino trascorre troppo tempo a paventare eventuali scenari catastrofici che potrebbero avvenire. L’ansia è uno stato patologico se i sintomi fisici si prolungano per almeno sei mesi.

C’È DA PREOCCUPARSI, ALLORA?

Solo nel momento in cui il bambino palesa i comportamenti di evitamento di cui parlavamo in precedenza, per esempio evitando specifici luoghi, particolari esperienze o situazioni ben precise perché ha timore di andare in ansia. È bene rendersi conto dei campanelli d’allarme per saper reagire e intervenire, così che i piccoli possano essere più sereni nel fronteggiare la propria vita quotidiana. Vale la pena di fare riferimento a uno psicologo psicoterapeuta dell’età evolutiva, tenendo presente che l’approccio di tipo cognitivo comportamentale è quello che, da un punto di vista terapeutico, assicura la maggiore efficacia clinica secondo i dati di evidenza.

IN CHE COSA CONSISTE?

Viene messo a punto e sviluppato un percorso di cura nell’ambito del quale si agisce sui pensieri ansiogeni, che prima di tutto devono essere identificati e poi monitorati. Al bambino vengono date delle strategie grazie a cui i pensieri ansiogeni possono essere messi in discussione e poi rimpiazzati, come se gli venissero fornite delle lenti migliori, e più funzionali, con cui osservare il mondo. Ci sono, poi, degli esercizi di rilassamento sul piano comportamentale, mentre un’altra strategia prevede di ricorrere a esposizioni progressive alle circostanze che sono oggetto di timori e che per questo vengono evitate.

QUALI SONO LE ASPETTATIVE LECITE DA PARTE DEI GENITORI?

Per le mamme e i papà sarebbe un errore aspettarsi di risolvere il problema portando il bambino da uno psicoterapeuta come si farebbe portando la macchina da un meccanico quando è guasta. Infatti, la collaborazione dei genitori è indispensabile per la terapia, sia per comprendere le caratteristiche del problema, sia perché essi stessi sono in grado di promuovere il cambiamento. A condizione, però, che siano i primi disposti a mettere in discussione il proprio operato. Gli stili educativi, infatti, sono una delle componenti che possono influenzare l’ansia in un bambino, insieme con il temperamento del piccolo e i fattori genetici.