CONDOVE – Due ore filate via tra nozioni, interrogativi e pagine di storia poco conosciute su un argomento affatto semplice: la grande battaglia, persa, di Caporetto nella Prima Guerra Mondiale. E’ davvero suggestivo come il professor Alessandro Barbero riesca a spiegare in parole semplici una vicenda complessa tra numeri, date e stratificazioni politiche. Una conferenza di presentazione tratta dal libro “Caporetto” edito per Editori Laterza.
La serata organizzata dalle associazioni Nazionale Combattenti e Reduci e Vox Condoviae ha visto la presenza della sala del cinema occupata in ogni posto, tra il pubblico il sindaco Emanuela Sarti, che ha portato il saluto dell’amministrazione, il vice sindaco Jacopo Suppo e gli assessori Chiara Bonavero e Andrea Tabone. Molti i labari delle associazioni d’arma in questa occasione tra la storia nazionale e locale; ha ricordato il presidente della ANCR Emiliano Leccese: “Tra i caduti condovesi e delle frazioni ieri comuni segnati sulle lapidi c’è un soldato morto proprio a Caporetto”. I Marinai d’Italia, i Granatieri di Sardegna, i Paradadutisti hanno salutato il professore con doni e parole di apprezzamento per il lungo lavoro svolto nella divulgazione.
I generali italiani sapevano dell’attacco
“Da cent’anni la disfatta di Caporetto suscita le stesse domande: fu colpa di Cadorna, di Capello, di Badoglio? I soldati italiani si batterono bene o fuggirono vigliaccamente? Ma il vero problema è un altro: perché dopo due anni e mezzo di guerra l’esercito italiano si rivelò all’improvviso così fragile?” ha esordito Barbero. Una lunga lezione nella quale è emerso che l’Italia era ancora in parte un paese arretrato e contadino e i limiti dell’esercito erano quelli della nazione. La distanza sociale tra i soldati e gli ufficiali era enorme: si preferiva affidare il comando dei reparti a ragazzi borghesi di diciannove anni, piuttosto che promuovere i sergenti – contadini o operai – che avevano imparato il mestiere sul campo. Era un esercito in cui nessuno voleva prendersi delle responsabilità, e in cui si aveva paura dell’iniziativa individuale, tanto che la notte del 24 ottobre 1917, con i telefoni interrotti dal bombardamento nemico, molti comandanti di artiglieria non osarono aprire il fuoco senza ordini.
Un paese retto da una classe dirigente di parolai aveva prodotto generali capaci di emanare circolari in cui esortavano i soldati a battersi fino alla morte, credendo di aver risolto così tutti i problemi. L’occasione di ieri sera è da segnare nelle lunghe manifestazione che l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci ha organizzato e messo in programma per ricordare i cent’anni dalla svolgersi della Prima Guerra Mondiale.