Ci ha lasciati Luigi Versino di Villar Focchiardo: l’uomo del lavoro, il boscaiolo e agricoltore

versino

VILLAR FOCCHIARDO – In punta di piedi, quasi con discrezione, com’era nell’indole del suo carattere ci ha lasciati Luigi Versino di Villar Focchiardo l’uomo del lavoro, il boscaiolo, l’agricoltore, il factotum dalla volontà coriacea, che amava davvero il lavoro. Ogni tanto c’incontravamo in giro per le strade del Villar ed allora giù a rimembrare … Lo faceva felice, gli si illuminavano gli occhi, gli alleggeriva il cuore , quel cuore di padre ferito da quell’inenarrabile ed inconcepibile dolore che la vita gli aveva riservato con la perdita ingiusta ed improvvisa del figlio Ivan. Esordiva sempre così: “Nan t’corde d’ze vir?” Ti ricordi di quelle volte? E come potrei dimenticare? Noi- che eravamo cugini ‘di prima’- avevamo trascorso parte dell’infanzia insieme in quegli anni semplici e felici a cavallo degli anni Sessanta e Settanta.

VILLAR FOCCHIARDO ADDIO A LUIGI VERSINO L’UOMO DEL LAVORO

Come dimenticare quelle estati o quegli inverni quando durante la vacanze scolastiche io andavo a ‘ fare le ferie’ su dai nostri nonni al  Villar. Mi portavano su da nonno Vigiu d’Montenero (Luigi Versino) e nonna Tunieta (Antonietta Chiaberto) e barba Nandinu (Ferdinando Versino) e questo mi piaceva un sacco perché subito sarei andato giù dal mio padrino Segnu (Arsenio Versino) e magna Pina (Giuseppina Ressiore) perché c’era Gigi. Non stavo più nella pelle: passavo per il sentiero dell’Ave Maria e, superata la fontana, correvo con la foga di anni verdissimi giù per il viottolo che lambendo il bosco portava alla casa di Luigi. Era accanto a quella dove abitava Mario dou Forn (Mario Rossero) e mi nascondevo dietro al mucchio di legna nel cortile per sorprenderlo con un urlo improvviso quando usciva di casa. L’urlo: la sorpresa! Si poteva di nuovo giocare!

ALLA COMBA AI PASCOLI

Con Marino Martoglio ed altri discoli della Comba quante ne abbiamo combinate, quante ore felici abbiamo contato. Ci piaceva stare con nonno Vigiu ad ascoltare le storie della guerra, perché questa in fondo ci sembrava un gioco. Volevamo cantare con lui la canzone del Monte Nero e quando nonno attaccava con quella strofa “Spunta l’alba del 15 giugno…” noi dietro come anatroccoli stonati continuavamo “… comincia il fuoco dell’artiglieria … il 3° alpini è sulla via …” Una volta combinammo persino di farci scrivere dal nonno su un bel foglio di carta tutto il testo di quella canzone : nonna ci diede un po’ di lire ed andammo nella cartoleria di Maria Schiari a comprare un foglio bello ed una penna nuova. Nonno scrisse tutto il testo ,ma quel foglio in seguito andò disperso. Luigi amava sempre ricordare quel passato felice ed ogniqualvolta c’incontravamo ne recuperavamo sovente un pezzo.

PROVERBI E FATICA QUOTIDIANA

L’aneddotica da raccontare riempirebbe un libro e credo che questo lo rendesse felice. Io poi un po’ bonariamente lo ammonivo: “Zes sempre n’camin cd’ruschi: rusca pa tan!” (Lavori sempre in continuazione : non lavorare così tanto!” Mi rispondeva: “O, a fait paran… Vau pian pianot …Ruschè an vait…almenu i pensu pa tan…” (O – lavorare- non fa niente .. Vado pian pianino e poi lavorare mi piace perché almeno quando lavoro penso poco…). Per Luigi il lavoro e stata una passione , un antidoto all’angoscia, l’usbergo che ha nascosto e protetto quel cuore sofferente di padre da quella data che ha sconvolto  irrimediabilmente la vita. Concludeva sempre così riferendosi ad Ivan: “A je parej … a turnerà mai pi.” ( E’ così … non tornerà mai più). Voglio pensare, voglio sperare, che da adesso , da qualche parte, in qualche inimmaginabile altrove quel cuore abbia trovato la felicità (…).

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