Chernobyl, trentacinque anni fa il terribile disastro nucleare

Chernobyl

Chernobyl, trentacinque anni fa il terribile disastro nucleare. Era il 26 aprile 1986 quando alle ore 1 e 23 del mattino si verificò il più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare. Presso la centrale nucleare V.I. Lenin, situata in Ucraina settentrionale, all’epoca parte dell’Unione Sovietica, a 3 km dalla città di Prypjat e 18 km da quella di Chernobyl, 16 km a sud del confine con la Bielorussia. Fu uno dei due incidenti al mondo classificati come catastrofici con il livello 7, massimo della scala INES, scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici. L’altro fu quello avvenuto nella centrale di Fukushima nel marzo 2011.

LE CAUSE

Molteplici furono le cause del disastro nucleare di Chernobyl. Alla base problemi relativi alla struttura e alla progettazione dell’impianto, dovuti a una errata gestione economica e amministrativa. Le inchieste rilevarono gravi mancanze da parte del personale, sia tecnico sia dirigenziale. Il giorno dell’incidente avvenne un brusco e incontrollato aumento della potenza e quindi della temperatura del nocciolo del reattore n. 4 della centrale. Era in corso un test definito “di sicurezza” e il personale si rese responsabile della violazione di svariate norme di sicurezza e di buon senso. Di conseguenza si determinò la scissione dell’acqua di refrigerazione in idrogeno e ossigeno a così elevate pressioni da provocare la rottura delle tubazioni del sistema di raffreddamento del reattore. Il contatto dell’idrogeno e della grafite incandescente delle barre di controllo con l’aria, a sua volta, innescò una fortissima esplosione. Da qui l’incendio dovuto allo scoperchiamento del reattore.

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LA NUBE RADIOATTIVA

Il 26 aprile di trentaquattro anni fa nel disastro nucleare di Chernobyl una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore e ricadde su vaste aree intorno alla centrale. Le contaminò pesantemente, tanto da obbligare a una evacuazione del territorio circostante. 336.000 persone dovettero abbandonare i loro paesi, le loro case. Le nubi radioattive raggiunsero anche l’Europa orientale, arrivando fino all’Italia, alla Francia, alla Germania, alla Svizzera, all’Austria e ai Balcani. Addirittura toccarono la costa orientale dell’America del Nord. I rapporti redatti dopo l’incidente riferivano di 65 morti accertati. Inoltre vi furono più di 4000 casi di tumore della tiroide nei giovani che avevano fra 0 e 18 anni al tempo del disastro. Molti di questi sono da attribuire all’esposizione alle radiazioni. Molte furono le inchieste e i dati ufficiali sono stati più volte messi in discussione. Addirittura si stimano 6.000.000 di decessi su scala mondiale nel corso dei successivi 70 anni. Questo se di prendono in considerazione i tipi di tumori riconducibili al disastro nucleare. Il conto finale forse non si saprà mai.

UN’UMANITÀ SPIAZZATA

Allora come oggi in piena emergenza Coronavirus gli uomini, i popoli, i governi si trovarono spiazzati di fronte a una catastrofe che mai avrebbero immaginato. Una tragedia che ebbe molteplici conseguenze sanitarie, ambientali, politiche ed economiche. E neanche oggi forse è ancora stata scritta la parola fine. Chernobyl fu un primo vero campanello di allarme di un uso incontrollato delle nuove tecnologie. Già allora chi visse da vicino e da lontano il disastro si trovò impreparato, incredulo, spaventato. Ora come allora l’umanità fu obbligata a fermarsi e a riflettere sul passato, sul presente e sul futuro. Un ciclo che oggi con l’emergenza attuale si è ripresentato e nuovamente ci ha messi con le spalle al muro.

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