Una lettera per il sogno infranto di Daniele Nardi e Tom Ballard

SAN DIDERO – Le due sagome individuate mercoledì 6 marzo sulla parete nord occidentale del Nanga Parbat, a circa 5900 metri di quota, sono quelle di Daniele Nardi e Tom Ballard, i due alpinisti dispersi dal 24 febbraio scorso. Il terribile sospetto è diventato certezza e dalla Valsusa un appasionato dedica uno scritto.

Carissimi Daniele e Tom,
vi scrivo e parlo da assoluto profano dell’alpinismo, ma certamente anche da grande amante delle montagne, che circondano la bella valle in cui vivo. Vi scrivo e parlo come fossi vostro fratello più piccolo; perché la vostra scomparsa mi ha toccato profondamente. Mi ha toccato poiché, a fronte di questi tragici eventi, la macchina mediatica, come sempre, si mette in moto, sommergendo le persone con ondate di parole; parole spesso di circostanza, spesso ricercate… spesso del tutto vuote. Mi ha toccato poiché, nell’attesa di avere vostre notizie, mi sono ritrovato a essere in pensiero per due persone che nemmeno conoscevo; ma che viste in quelle ultime immagini, mi è parso, invece, di conoscere. Chi lo sa; forse solamente manifestazioni insolite dell’inconscio umano che non si possono e non si potranno mai spiegare. In fondo, conosciamo davvero molto poco le potenzialità del nostro cervello.

Miei cari, il vostro coraggio è certamente da ammirare; ma non dobbiamo dimenticare che coraggio e incoscienza non sempre sono sinonimi; non dobbiamo dimenticare che Madre Natura va rispettata e non sfidata; non dobbiamo dimenticare che la montagna, per quanto attraente possa essere, nasconde mille insidie; non dobbiamo dimenticare di ascoltare le parole di chi ha più esperienza di noi (e una figura come Reinhold Messner è senza ombra di dubbio inclusa). Quella via affascinante; quel famoso sperone Mummery che attraeva (e attrarrà ancora) peggio di una calamita. Una sfida? Un avvertimento? Un
monito? Chi può dirlo? Non certo io, che sono il più piccolo tra i piccoli. Una cosa sola, sottovoce e in punta di piedi, posso sussurrare: non esistono in nessuna parte del mondo montagne assassine; esistono, invece, quelli che io chiamo “rischi estremi”; estremi in quanto nessuna mente umana potrebbe mai prevederli e calcolarli al millesimo. La montagna non uccide. L’orgoglio, molto spesso, può invece farlo.

Con il mio coro (dirigo un coro alpino da ormai quasi due anni), in queste settimane abbiamo cantato pensando a voi e pregando per voi. Il cantare della montagna è per noi simile a come era per voi il sognarla: con amore e per amore. Ora, da lassù, certamente potrete udire le nostre voci più chiaramente. Non è il caso, ma – come scritto da principio – se davvero fossi vostro fratello e, un giorno, vi dovessi mai incontrare, come prima cosa vi appiopperei un sonoro, secco ceffone… ma subito dopo, vi abbraccerei“.