Susa in provincia di Pechino

SUSA – I negozi italiani chiudono e al loro posto anche a Susa aprono magazzini cinesi. Ma di chi è la colpa? Il fenomeno si presta a diverse interpretazioni e generalizzare è troppo facile. Nella città di Adelaide, oggi, le realtà commerciali del Sol Levante sono cinque: una merceria, un centro massaggi e tre negozi di abbigliamento. Negli anni passati aveva anche aperto un ristorante ma presto aveva chiuso. Analizzando più a fondo questa tendenza diffusa in tutti i paesi si riscontra che alla base oltre l’espansione economica della Cina ci sono in realtà motivazioni più che concrete. Il made in Italy oggi non offre spesso le stesse garanzie di un tempo e purtroppo il commercio è strangolato sempre più dalle tasse.

E’ VERA CONCORRENZA?

La Cina è anche a Susa. Perché un’attività commerciale di piccole dimensioni che si fa portatrice del valore dell’artigianato locale e del made in Italy non riesce a reggere alla concorrenza cinese? Questi ultimi offrono prezzi decisamente più bassi: è solo per una differenza di qualità nei prodotti e per lo sfruttamento della manodopera in patria? Qui entra in gioco a ben vedere anche un’analisi fiscale. In molti si chiedono: gli imprenditori cinesi pagano le tasse in Italia?  A riguarda la Guardia di Finanza fa rilevare che i primi mesi immediatamente successivi all’apertura dell’attività, molti imprenditori e negozianti cinesi attuano un comportamento irreprensibile nei confronti del Fisco italiano, battendo scontrini fino al minimo centesimo. Quando la catena si rompe? In media dopo circa un anno e mezzo l’attività cambia ragione sociale lasciando alla vecchia gestione “un buco di tasse evase impossibile da recuperare”. Il limite di 18 mesi non è casuale perchè fino ad un anno e mezzo lo Stato non può fare nulla, perché gli esercenti sono ancora in tempo per versare le somme dovute, quando poi si potrebbe agire dei titolari, spariscono le tracce.

IL PARERE DI ASCOM

 Patrizia Ferrarini, presidente dell’Ascom: “I cinesi prendono dal territorio quanto possono senza mai collaborare neppur minimamente con le associazioni di categoria o quanti propongono iniziative” dice la Ferrarini “fanno una vita sociale e commerciale a se senza mai confrontarsi. Hanno bisogno di spazi grandi che prediligono più dei piccoli negozi”. Conclude la Ferrarini: “Devo anche notare che in qualche realtà è stato assunto personale italiano, forse per favorire il dialogo con i clienti”.

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