Ottant’anni fa il partigiano Walter Fontan morì a Bruzolo sotto il fuoco tedesco

BRUZOLO – Ottant’anni fa il partigiano Walter Fontan morì a Bruzolo sotto il fuoco tedesco

L’ULTIMO TRENO PRIMA DELLA DELLA NOTTE

Arriva da lontano, prima quasi impercettibile ed indistinto e poi, quando il fischio del locomotore ne annuncia la presenza, lo sferragliare del convoglio incombe con un leggero tremolio fugace: il treno passa davanti al casello di Bruzolo ed in pochi istanti si dilegua nella notte. Accade da sempre, da quando la ferrovia percorre la valle. Fu così anche la sera del 25 febbraio 1944. Diciassette uomini, comandati da Walter Fontan (ferroviere di Bussoleno, nato il 7 maggio del 1919, medaglia d’argento al valor militare) passato il treno s’avvicinarono al casello per liberare un gruppo di russi bianchi che si erano decisi a saltare la barricata, a passare dalla parte della Resistenza. Un’operazione di routine per gli uomini di Fontan, concordata con gli stessi russi, stanchi di subire le vessazioni dei soldati della Wehrmacht. Un’operazione che il tradimento rese fatale: all’improvviso nel cupo silenzio della tarda sera il crepitio di una enorme sparatoria echeggiò nella valle, una valanga di fuoco investì i partigiani. Walter Fontan fu falcidiato e con lui cadde un altro elemento del suo gruppo. La paga di un Giuda consentì all’artiglio nazista di spezzare la vita di un uomo che si era mosso spinto dall’ideale della libertà. Un ideale che sembrava irrealizzabile, lontano come i binari della ferrovia che si perdono nella notte, ma che anche da quella notte trovò forza per alimentare la speranza fino alla vittoria. Sergio Alberti, classe 1926, era al fianco di Walter Fontan quella sera di ottant’anni fa quando scattò la trappola mortale.

INTERVISTA A SERGIO ALBERTI

Ebbi modo – grazie a Bruno Carli – di incontrarlo per un’intervista nella sua casa di Vignole Borbera, nella marca alessandrina nel 1994, dov’era nato e dove ancora abitava e dove ancora – benché fossero passati già cinquant’anni da quella tragica sera- ancora si domandava “il perché” di quella notte. Signor Alberti, come fu che lei finì a fare il partigiano in valle di Susa? Tutto fu per caso, un caso tra i tanti di chi patì la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’8 settembre 1943, Stelio Arcamone, un amico di famiglia tornò a casa dall’Accademia Militare. Qui per noi erano tempi molto duri, di totale insicurezza. Stelio aveva una zia che possedeva una panetteria a Torino e le nostre famiglie videro per noi in quella zia una sistemazione in attesa di tempi migliori. Fu così che finimmo a Torino e poi, dopo altre traversie, a Susa, ospiti di Giovanni Ghiano, un sergente degli alpini dell’ex Regio Esercito. Ma lì non potevamo stare, in particolar modo perché con la costituzione della Repubblica di  Salò avremmo dovuto partecipare alla chiamata per quell’esercito. Optammo per la macchia e l’8 dicembre del 1943 alla frazione Garda di San Giorio prestammo giuramento con gli uomini di Carlo Carli. Fu così che conobbi Walter Fontan. Walter Fontan chi era? E per lei cosa rappresentò? Walter Fontan era un patriota, un uomo che amava la libertà e che vedeva nella libertà la conquista più preziosa di un uomo. E per me rappresentò il valore di un’amicizia. Io ero più giovane di lui. Vedevo in lui qualcosa di simile ad un maestro di vita, ad un idealista.

Quali furono gli eventi che determinarono l’assalto al casello ferroviario di Bruzolo? Tutta la valle di Susa, per l’importanza strategica di questo territorio, pullulava di militari tedeschi e repubblichini. Purtuttavia i tedeschi impiegavano per alcune operazioni un buon numero di russi bianchi o georgiani, arruolati come subalterni nella Wehrmacht. Chiaramente per i tedeschi questi russi erano dei collaboratori di rango inferiore di dubbia fedeltà, da tenere sotto giogo ferreo. Accadde dunque che un gruppo di questi russi, di stanza al casello di Bruzolo, entrò in contatto tramite un certo Ivan con la nostra banda: volevano la libertà ed in cambio d’essa erano disposti a passar dalla nostra parte, portando dell’armamento e dell’equipaggiamento di cui avevamo veramente bisogno. L’accordo preso con Ivan, di cui non conosco il cognome, prevedeva un nostro ‘assalto’ al casello ferroviario di Bruzolo, con relativa finta scaramuccia, al fine di depistare i tedeschi, i quali non avrebbero dovuto sapere che i russi si erano consegnati spontaneamente a noi, perché il fatto avrebbe potuto esporre altri russi a rappresaglie. La nostra banda in quei giorni si era stabilita alle Strobbiette, una borgatuccia di Chianocco e quando la trattativa fu conclusa il comandante Fobtan dette il placet all’operazione.

QUELLA SERA A BRUZOLO

Operazione che si concluse in un disastro. Ma che cosa accadde veramente a Bruzolo quella sera? Il 25 febbraio 1944 era un venerdì, una giornata cinerea, cupa, gonfia di nubi uggiose, fredda come un presagio. All’imbrunire la banda scese dalle Strobbiette, dal rifugio della Milizia Forestale che serviva da base e si mise in marcia verso Bruzolo, verso quel casello maledetto. Nulla faceva presagire nulla: il treno era transitato regolarmente, tutto era tranquillo, col senno di poi, troppo tranquillo. Appena Walter, con Aldo Rossero (nato in Francia,a St.Claude nel 1923) entrò nel casello, scoppiò l’inferno: una raffica falcidiò entrambi e una gigantesca s’abbatte su di noi, colti di sorpresa. I tedeschi e non i russi erano al casello e la nostra fortuna fu che essi avevano una sola pistola lanciarazzi che lanciava bengala illuminanti. Così limitammo le perdite a due soli uomini, mentre un solo cadde per mano di Stelio Arcamone. Ci ritirammo attraverso le vie dei campi di Bruzolo, perché i tedeschi avevano bloccato tutte le strade del paese. Il tradimento di Ivan costò la vita Fontan e a Rossero, mentre l’orologio segnava la ventesima ora di quel giorno fatale.” Dopo questo fatto cosa fece? “ Riuscito a sfuggire all’accerchiamento tedesco riparai con altri elementi della banda a Pavaglione, dove c’era la casa di Aldo Rossero. Naturalmente il morale era molto basso ed il mio in particolare era proprio a terra, perché per me Walter non era solo il comandante, ma anche l’amico di maggiore età, l’amico ideale. Ovviamente lo smacco subito era troppo grande per non meritare giustizia. La prima o la seconda domenica dopo l’agguato al casello io e Stelio Arcamone eravamo a Bussoleno perché c’era giunta la notizia che colà era presente Ivan, il traditore. Volevamo prelevarlo per portarlo su con noi in montagna, dove l’avremmo poi fucilato. Bussoleno in quella fredda domenica era un pullulare di militari tedeschi per via del fatto che al cinema proiettavano a ciclo continuo film in lingua tedesca per il divertimento della truppa. Ma non vedemmo più Ivan, né allora né mai più e ancora oggi mi domando se quell’uomo riuscì a sopravvivere alla Seconda Guerra Mondiale o se ad un certo punto, in qualche modo, la mano del destino saldò il suo conto con la paga di Giuda.

ARRIVA LA GESTAPO

Quella domenica a Bussoleno però avvenne qualcos’altro. Mi può raccontare cosa? Non avendo potuto arrestare Ivan noi, che eravamo in borghese ed armati, ci appostammo davanti alla Chiesa. All’uscita della Messa, visto un addetto della Milizia Ferroviaria, senza troppo preoccuparci ci avvicinammo a quell’uomo dichiarandogli: ‘ è in arresto.’ Costui fu talmente stupito – forse pensò che eravamo agenti della Gestapo – che si lasciò disarmare senza battere ciglio e ci seguì inebetito sino al rifugio. Nel pomeriggio poi ci giunse la notizia che due tedeschi erano giunti a Chianocco: la nostra ira era ancora talmente grande che eravamo disposti a qualsiasi cosa pur di catturarli. Questi, quando furono messi alle strette si lasciarono disarmare e con sorpresa scoprimmo che in realtà erano russi, i primi due russi che poi combatterono nel movimento partigiano valsusino. La sera stessa dormivano con noi su a Pavaglione. Lei fu vicino alla morte per colpa di un tradimento. Ma il tradimento, la delazione, erano così diffusi in valle di Susa? Non credo affatto che il tradimento e la delazione fossero cos’ diffusi in valle di Susa; perlomeno non più che in altri posti. Certo questo problema fu presente, ma aveva anche dei risvolti strani. Ad esempio alla Balma di San Giorio c’erano le sorelle Montagnana, sfollate di guerra, ebree, cognate del leader del Partito Comunista Italiano, Palmir Togliatti, che stettero lì per tutta l’agonia della Repubblichina. Io lo sapevo e come lo sapevo io lo sapevano tanti altri; una delazione sulla loro presenza sarebbe stata ovvia, ed invece non accadde: perché? Credo che sul problema della delazione e del tradimento entrassero in gioco fattori singolari, momentanei, circostanziati: si poteva tradire per paura, per comodità, per i motivi più vari che scaturiscono dall’animo umano. Certo la delazione faceva paura – e tanta – ma noi sapevamo che il vento della storia soffiava alle nostre spalle e che avrebbe acceso la scintilla della libertà, il fuoco della vittoria. Sapevamo che la nostra battaglia era giusta, che era figlia di un ideale; avevamo la coscienza che questo ideale poteva chiederci il sacrificio più alto e che i vari quisling che tentavano di infangare questo ideale sarebbero finiti nel pattume della storia. Signor Alberti, mi risponda con sincerità: lei oggi è un uomo tranquillo? Se sono tranquillo? Ma certo! Oggi sono un pensionato e guardo indietro con serenità al passato della mia vita. Quel che mi preoccupa è il futuro: vedo strane nubi avvicinarsi all’orizzonte dell’Italia e del mondo. Non sopporterei un altro fascismo. Quando va a Bussoleno sulla tomba di Walter Fontan, cosa prova? E’ difficile dirlo. Non so se saprei esternarle quel che provo e se lei saprebbe trovare le parole adatte per tradurre questa mia emozione. A volte rivedo i nostri passi avvicinarsi al casello, risento le voci del gruppo lo sferragliare in lontananza del treno. E poi il crepitio impazzito delle armi, le sciabolate di luce nel cielo. E dopo, nel silenzio, il buio della notte.

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