Il settimanale La Valsusa compie 120 anni d’attività

SUSA – Compie 120 anni il settimanale cattolico, di proprietà della Diocesi di Susa, domani lunedì 3 aprile. Ua lunga storia che ha attraversato tre secoli con alterne vicende con due testate; prima il Rocciamelone poi La Valsusa. Qui la storia del giornale cominciata nel 1897.

Il Rocciamelone

Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, la Santa Sede decise di condurre una dura battaglia a due soggetti ritenuti responsabili del clima anticlericale che si era sviluppato nel Paese: la massoneria e il socialismo. Così anche per contrastare la stampa liberale, anticipando di poco quella socialista, il 3 aprile 1897 veniva diffuso il primo numero de Il Rocciamelone. Fondato dal vescovo segusino Edoardo Rosaz, al chiosco costava 5 centesimi e usciva il sabato, l’abbonamento in Italia costava 3 lire, all’estero 3,50. Il sottotitolo era “Periodico settimanale del Circondario di Susa” che ne qualificava l’interesse in Valle di Susa e nella zona di Giaveno. Dopo consulti con persone del clero e del laicato cattolico, monsignor Rosaz nominò primo direttore il commendator avvocato Cesare Napoli, distinto notaio di Susa, allora poco più che un ragazzino. Improvvisatosi direttore, l’avvocato, senza altra preparazione che l’entusiasmo, sapeva però trasmettere ai suoi compagni di lavoro la gioia di scrivere per la nuova testata creata dal Rosaz. Così il giornale venne stampato nella casa del vescovo, dove era entrata una rotativa che pesava 20 quintali. Fin dal primo numero fu attivamente sostenuto dall’elettorato cattolico, che più avanti darà vita al Partito Popolare, e dai diversi ceti della popolazione di Susa e di tutta la valle. Primo settimanale della diocesi di Susa, si presentava con articoli sui temi religiosi, politici, amministrativi, letterari e agricoli. Portava a conoscenza del pubblico i progressi delle varie iniziative religiose nel lavoro, scriveva dell’Azione Cattolica, delle bande musicali e dell’organizzazione delle feste. Del corpo redazionale facevano parte Giuseppe Calabrese, canonico teologo della cattedrale di San Giusto in Susa, Egidio Bruno, canonico e vicario generale, e don Michele Rivetti. In redazione, inoltre, c’erano il canonico Giovanni Battista Pugno, il sacerdote Giuseppe Borello, don Giuseppe Francou e don Spirito Rocci. C’erano inoltre Ettore Chiapussi, che curava la parte di interesse meteorologico e gli avvocati Rocci e Fabiano. Risentì, tuttavia, della crisi economica di quegli anni, e mancandogli un valido sostegno finanziario, che non trovò nel clero, tentò anche una sottoscrizione di azioni di lire 5 cadauna e una nuova richiesta di soccorso rivolta ai religiosi. Tutto fu vano e, nel numero del 12 novembre 1904, a pagina 2, fu scritto: “A voi, lettori amatissimi, il saluto e i ringraziamenti nostri… Non un addio, ma un arrivederci”. E così fu.

La Valsusa

Monsignor Carlo Marozio, entrato a Susa come vescovo nel 1903, organizzò, o meglio riorganizzò, l’attività giornalistica del settimanale della Diocesi. Grazie alla sua volontà, con una nuova organizzazione, riprenderà le uscite un foglio cattolico con un nome nuovo: La Valsusa. Il primo numero fu venduto in edicola il 27 aprile 1907. Erede diretta de Il Rocciamelone, di cui era stata la preannunciata ripresa, ne conservò la linea politica e sociale. Fu preparato da un’assemblea dei parroci, che furono coinvolti insieme con tante altre personalità del mondo cattolico, e uscì in un formato rinnovato e con una grafica pulita e ordinata. Già il nuovo titolo, La Valsusa, dava la certezza che il foglio si sarebbe aperto a tutta la valle, portando la cronaca e i commenti non soltanto alla città vescovile dove il Rocciamelone fa ombra. Come direttore fu chiamato il cavalier Alfredo Porri, anche se la vera anima del giornale era, come ai tempi de Il Rocciamelone, il canonico Giuseppe Calabrese. Egli era uomo colto e stimato, nonché sacerdote di grandi sensibilità organizzative, tanto che fu poi ordinato vescovo di Aosta nel 1920. Con la direzione Porri inizia la sua lunga collaborazione Federico Marconcini, che fu tra i fondatori del Partito Popolare Italiano negli anni Venti e di cui fu deputato e poi senatore. Il professore fu la figura più prestigiosa tra i tanti collaboratori del settimanale di quel periodo. Lo scoppio della prima guerra mondiale travolse anche il giornale che per tre anni fu costretto a cessare le pubblicazioni.

Dopo la Prima Guerra

Passata la bufera della guerra, fu sotto un altro vescovo, monsignor Giuseppe Castelli, destinato poi a Cuneo nel 1920, che riprese l’attività editoriale. Così poco prima di Natale, del 1919, il vescovo chiamò alla guida del foglio il pubblicista Luigi Chiesa che aveva conosciuto a Torino, nella parrocchia di San Massimo. Il vescovo convinse Chiesa a salire in Valle di Susa e a dimettersi dal quotidiano dove lavorava come cronista. Come sede era stata approntata una cameretta, offerta da un circolo giovanile, in piazza Savoia, dove non c’era neppure la luce. Negli anni della direzione di Chiesa, ottimo giornalista, monsignor Castelli, per far fronte ai problemi organizzativi, si rivolse all’amico don Alberione, che aveva fondato ad Alba la “Scuola Tipografica Piccolo Operaio”, nucleo della futura Società San Paolo. Un gruppo femminile, nucleo delle future Figlie di San Paolo, arrivavò così a lavorare a Susa. Bastò poco ad Alberione per verificare che il materiale tipografico vescovile era inservibile, così acquistò la tipografia “Guido Gatti” a Susa con l’annessa cartolibreria. Situata nel centro del paese, in via Palazzo di Città 8, divenne la tipografia della Sottoprefettura, del Tribunale e del Comune di Susa. Nello stanzone c’era una grande macchina da stampa piana a macinazione dell’inchiostro a tavoletta, un tagliacarte e un misero tirabozze a mano. Le ragazze lavorarono a fianco del direttore Chiesa, fino a quando questi si dimise, dopo quattro anni d’attività, nel 1923, per tornare a lavorare a Torino. Come nuovo direttore la redazione ebbe don Avventino Anselmetti. Il lavoro in tipografia non mancava e offriva l’opportunità d’imparare il mestiere; così, negli anni, arrivarono altre alunne con l’intento di proseguire gli studi e conseguire il diploma magistrale. Nello stesso anno, l’attività tipografica fu venduta a Enrico Piazza che, rilevato il laboratorio e il negozio, ne mantenne la denominazione in “Tipografia San Paolo”. Le Figlie di San Paolo stamparono La Valsusa per l’ultima volta il 12 marzo 1923, dopo quattro anni di intensa attività. Siamo ora al vescovo Umberto Rossi, a capo della diocesi dal 1921, che chiamò alla direzione un sacerdote, prassi da allora mai abbandonata, don Avventino Anselmetti che vi resterà fino al 1935, dopo dodici anni di attività.

La Seconda Guerra Mondiale, direttore don Marra

Va segnalato che il giornale, tra il 1925 al 1947, uscirà, pur conservando la testata, fuso con La Voce del Popolo di Torino. In quegli anni, le cronache dalla valle erano ospitate all’interno e la parte cosiddetta “formativa” era comune per i due giornali. Arriviamo così al settembre del 1935, quando a don Anselmetti subentrò don Carlo Marra. Egli entrava così anche nell’albo dei giornalisti, elenco pubblicisti, dove resterà per più di cinquant’anni, fino alla sua morte. Don Marra continuerà a dirigere il settimanale fino al 1975 e per dodici anni, dal 1935 al 1947, ne fu anche amministratore.

Direttore don Aldo Amprimo

Dal numero del 4 gennaio 1975, il direttore divenne don Aldo Amprimo, un sacerdote di Bussoleno, da sempre al giornale come brillante corsivista. I suoi “Sale e pepe” e le sue “Schegge” appartengono agli anni più battaglieri del giornale. Era il periodo del vescovo Giuseppe Garneri. Di quegli anni vanno ricordati altre due penne prestigiose: il canonico Sardi e don Guido Ferrero, l’inventore della “Pagina sportiva”, con il suo “Diorama sportivo”.

Nel 1979 arriva alla direzione don Ettore De Faveri

Il 13 gennaio 1979, pochi mesi dopo il suo ingresso in diocesi, monsignor Vittorio Bernardetto dovette procedere a un ulteriore cambio di direzione. Don Amprimo, dopo quattro anni, presentò la sue dimissioni e nuovo direttore fu designato il giovane parroco della Cattedrale di San Giusto: don Ettore De Faveri che, a trentatré anni, si apprestava a cambiare il giornale. Da allora, il giornale che era di pochi fogli uscì al ritmo di 40 e più pagine la settimana, con una redazione composta da un gruppo di giornalisti e da collaboratori che raccontano le valli di Susa e Sangone. È passato dal bianco e nero al colore, dalla stampa tradizionale al computer.

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