Il ricordo del partigiano Carlo Carli nelle parole del fratello Bruno a ottant’anni dalla morte

SAN GIORIO – Il ricordo del partigiano Carlo Carli nelle parole del fratello Bruno a ottant’anni dalla morte.

IL PARTIGIANO CARLO CARLI, LO STUDENTE DI UDINE

Fu un giorno d’inverno quando, con quello che sarebbe diventato l’amico Bruno Carli, salii sui monti di San Giorio per un viaggio della memoria tra quelle lande. I boschi silenti di tanto in tanto fremevano sotto l’alito dell’Eolo valsusino ed il fumo che s’alzava dai comignoli, dai Martinetti ai Pognant, vagava nell’aria, svaniva nel cielo. Tutto era terso sotto la neve, lindo come l’inverno. Era inverno anche nel 1944 e la candida neve come pietà del cielo ricopriva il suolo della patria calpestata dall’occupazione nazifascista proprio mentre qui, tra queste montagne, un pugno di uomini determinati e liberi gettavano le fondamenta dell’edificio su cui sarebbe nata la nostra libertà. Tra quel pugno di uomini, spesso non capiti, un nome emerse dal limbo dell’anonimato per collocarsi nell’olimpo degli eroi: Carlo Carli. Il più puro, un eroe Carlo Carli, figlio di Michele e Giuseppina Gilli, nacque a Pontebba in provincia di Udine il 24 giugno 1920. Fu  studente in chimica (gli fu concessa, post mortem, la laurea ad honorem) e Militare nel Regio Esercito Italiano. Tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943 maturò la sua scelta di lotta contro la tirannide.

CAPITANO NELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE

Promosso Capitano per meriti di guerra il 21 novembre 1943 dal Comando dell’Esercito Italiano di Liberazione con le motivazioni di essere “audace, intelligente, ricco di iniziativa personale, pieno di ascendente sui suoi uomini e di dare quotidianamente prova di attaccamento al dovere ed allo spirito patriottico” Carlo Carli non accettò la comoda teoria dell’attendismo né quella vile della fuga, ma prese le armi per combattere le aquile naziste, figlie del sonno della ragione. Prese le armi impavido, conoscendo il rischio a cui si esponeva e quella scelta gli fu fatale. Scrisse di lui Valdo Fusi: “Era il più puro, il più prode in una valle dove tutti furono forti. Fu l’eroe della valle di Susa.” Gli fece eco Sergio Bellone: “Con Carli scomparve dalla scena una delle figure più forti e più nobili del movimento partigiano piemontese. Era stato un grande pioniere, aveva conosciuto momenti di successo e di rovescio, ma aveva sempre ricominciato con fermezza ed entusiasmo.

LA DELAZIONE, LA MORTE

Entusiasmo sotto la neve che imbiancava le montagne della valle e coraggio per la lotta contro un nemico ferale che sarebbe finito nel fango della storia. Ma al Comandante fu fatale quel 21 gennaio 1944 ad Avigliana. Un colpo di mitraglia a tradimento spezzo la sua vita: cadde carponi sulla neve che si macchiò di sangue. Lacrime solcarono il viso. Ma da quella morte nacque un giglio d’inverno, puro e limpido, che tra i partigiani della valle divenne subito un mito, pur restando storia: quella storia che spezzo le catene della tirannide con la Liberazione. Ricordando quei fatti così mi parlava in un’intervista per un foglio locale, trent’anni fa, Bruno Carli che di Carlo era il fratello. “Quel 21 gennaio del 1944 ero andato a Torino da Ada Marchesini Gobetti ed avevo appuntamento con Carlo per le ore 18. Non vedendolo arrivare non mi preoccupai più di tanto, perché c’era tra di noi l’accordo che se non ci vedevamo il giorno stabilito, ci saremmo comunque visti il giorno dopo alla stessa ora a Bussoleno. Quando giunsi in treno ad Avigliana, nei pressi del passaggio a livello, capii, dal movimento di repubblichini che chiedevano i documenti a tutti, che era successo qualcosa o che perlomeno cercavano qualcuno. Io, comunque, giunsi a Bussoleno e li una telefonata anonima ci avvisò del fatto. Mi precipitai ad Avigliana, dal papà di Eugenio Fassino, che mi raccontò tutto. Nel contempo quel giorno mio padre e mia madre erano a Torino: furono avvisati. Non c’erano mezzi per venire su: destino volle che nei pressi dell’Aereonautica incrociarono la macchina di un industriale o di un nobile con tanto di autista a bordo che, ascoltata la storia, li trasportarono su fino ad Avigliana. Carlo era li, riverso in una pozza di sangue e mia madre si tolse la pelliccia e gliela posò addosso. L’omicida era ancora li, ed urlando insultò mia madre: ‘Donna – le disse – se tu avessi insegnato il bene a tuo figlio, non sarebbe carponi come un cane qui’. ‘Ammazza anche me’ rispose sconvolta mia madre. Il 23 gennaio seppellimmo Carlo con una partecipazione incredibile di gente che ci dimostrò la propria solidarietà.

IL RICORDO

Come morì suo fratello? Quando fermarono Carlo, forse anche per merito di una delazione, egli aveva appresso documenti falsi intestati a Carlo Trevisan. Lo fecero stare per delle ore con le braccia in alto, poi gli dissero che era libero. Quando si mosse per venirsene via il lupo fascista, milite della Guardia Nazionale Repubblichina lo falciò a tradimento. Una raffica fatale spezzò la vita di Carlo, che non potè difendersi. La sua morte fu assolutamente controproducente per i fascisti, perché subito il nome di Carlo Carli s’identificò nell’ideale puro della Resistenza e tanti altri seguirono la sua strada. Dopo questo fatto, lei cosa fece? I miei mi mandarono via, a Trieste, con Carmela Birch, che era la fidanzata di mio fratello. Stetti lì per quindici giorni, poi scappai. Ritornai in valle e mi detti alla macchia combattendo da partigiano sino alla Liberazione, nel 1945. Da quel 21 gennaio sono passati cinquant’anni. E’ riuscito a perdonare chi uccise suo fratello? No e nessuno di noi ci è mai riuscito. Se avessi avuto tra le mani quell’uomo, se lo avessi ora, chiederei per lui la pena di morte. E, mi creda, non parlo per rivalsa di un torto subito, non per me, per quello che mi hanno fatto e in fondo non parlo neppure per quel che hanno fatto a Carlo. Parlo per l’immenso dolore patito dai miei genitori, per i loro occhi bagnati dalle lacrime. Mio padre dopo l’omicidio di Carlo quasi impazzì, mia madre da quel giorno visse solo più nel ricordo del figlio ed il suo unico conforto fu sapere che l’ideale per il quale Carlo s’immolò era il più grande: la libertà. E credo che sia simbolico il fatto che ella ci lasciò il giorno che è dedicato all’anniversario della Liberazione: morì infatti il 25 aprile del 1983.

La parola vendetta cosa le suggerisce? Mi fa pensare a qualcosa che fa ripetere ad altri l’esperienza che ti è toccata. Penso, in questo momento, a chi uccise con mano sinistra mio fratello e che poi quando fu a sua volta padre si vide portare via, dalla mano del destino, il proprio figlio. Sapere che l’uomo che ha ucciso suo fratello ha provato il vostro stesso dolore le ha fatto piacere? Assolutamente no. Lei, che la Resistenza l’ha vissuta da attore in prima linea, ha mai avuto delle delusioni? No. Il valore della Resistenza è eterno e parla di libertà, uguaglianza, solidarietà e pace. Per questo noi ci battemmo e ci sacrificammo. La delusione, semmai, venne dopo. Perché? Perché l’Italia, come la storia contemporanea purtroppo dimostra, non divenne quello stato libero e giusto che noi immaginavamo, governato dal popolo e dai lavoratori. Resistenza: ma cosa fu veramente? E nella lotta non ci furono pure, nascosti, gli opportunisti? La Resistenza fu il risveglio della coscienza di un popolo contro il demone fascista e l’occupante tedesco. Poi, si sa, non tutti i militi repubblichini erano dei fascisti, non tutti i militari tedeschi erano dei nazisti, e non tutti i partigiani degli idealisti. E se avvennero degli episodi poco chiari, ciò non inficia assolutamente i valori della Resistenza che uscirono vittoriosi dal giudizio della storia. E poi i veri eroi non furono tra di noi, ma furono tutti quei deportati nei campi di concentramento che dissero di no alla Repubblica Sociale Italiana. Il loro si a Salò, con il conseguente arruolamento nella milizia repubblichina avrebbe potuto significare la disfatta del movimento partigiano.” Lei ha combattuto: in battaglia sparava e uccideva. Davanti al suo mitra c’erano altri uomini.

LA GUERRA

Seppur in guerra, cosa si prova a decidere della vita altrui? Nessuno di coloro che hanno combattuto le risponderà con un ‘io ho ucciso’. La guerra è una cosa atroce: scatena gli istinti primordiali e, tra tutti, quello della sopravvivenza. Nella logica follia della guerra, l’altro, colui che sta di fronte al tuo mitra, è anche la persona che sta davanti alla tua possibilità di sopravvivere. Uccidere è comunque una cosa bestiale ed è per questo che io dico che la prima vittima di ogni scontro è l’innocenza. Di quei giorni, ora, cosa le manca? Mi manca quello che ho perso di mio, della mia giovinezza. Mi mancano i compagni caduti. Mi sconvolge ancora il fatto che l’Europa sia ad un certo punto sia piombata nel ‘sonno della ragione’ la cui conseguenza è stata la follia della Seconda Guerra Mondiale con le sue atrocità senza fine.” Hitler disse: ‘Il Terzo Reich vivrà mille anni’. La sua profezia fu errata, ma il mostro nazista è davvero morto, secondo lei? Poiché credo nell’umanità voglio sperare di si. Ma dobbiamo vigilare perché quel che è accaduto potrebbe, anche in nuove forme ,ripresentarsi. Parte importante di questa vigilanza è il non dimenticare quel che è accaduto. Scendendo quel giorno dalla montagna di San Giorio, parlando ancora del più e del meno, degli affanni e delle gioie di quei giorni epici Bruno Carli fece un augurio. “ Spero che la tua generazione e quelle a venire non debbano mai provare quel che noi vivemmo. Mai più odio tra le nazioni, mai più guerre.” Parole belle, giuste, ma che purtroppo ancora una volta sono portate vie da vento della storia.

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