Il “Giorno del Ricordo” da chi ha vissuto la tragedia dell’epurazione italiana da parte dei Comunisti di Tito

MEANA – Il “Giorno del Ricordo” da chi ha vissuto la tragedia dell’epurazione italiana da parte dei Comunisti di Tito.

LA TESTIMONIANZA DI UN ESULE FIUMANO NEL “GIORNO DEL RICORDO”

Il Giorno del Ricordo è una solennità civile nazionale, celebrata il 10 febbraio di ogni anno, istituita con la legge 92 del 30 marzo 2004, per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Elvio Jagodnik, testimone dell’esodo – Per una testimonianza diretta dell’esodo giuliano-dalmata e del significato del Giorno del Ricordo, abbiamo intervistato l’esule fiumano Elvio Jagodnik. Abita a Meana ed è alfiere dell’Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna del Nucleo Val Susa. Specialità dell’Esercito Italiano nella quale ha prestato servizio militare.

IL RICORDO

Ho vissuto in prima persona il dramma dell’esodo – racconta Elvio – che mi ha costretto in tenera età a lasciare Fiume, la mia città natale, oggi nota col nome croato di Rijeka: Il 1945 segna la mia data di nascita e nel 1947 quella della fuga con la sorella assieme ai genitori, da quelle terre cedute alla Jugoslavia, all’indomani del trattato di pace”. L’accoglienza nei campi profughi. “Ed ecco le lunghe e difficoltose peripezie che dovemmo affrontare per l’inserimento nella nuova comunità. Da quel momento ebbe inizio un lungo peregrinare per l’Italia in diverse strutture di accoglienza come per altre migliaia di profughi. La prima tappa fu Trieste per poi proseguire a Venezia ed arrivare al campo profughi di Servigliano in provincia di Ascoli Piceno nelle Marche. Nel campo eravamo sistemati in baracche senza divisori, dove la vita era in comune. Molte persone rimasero anni in questa situazione, per i bambini c’era la possibilità di accedere ai collegi gestiti dall’Opera per l’assistenza dei giuliano- dalmata. Negli anni ’50, per chiamata al lavoro del papà, il trasferimento con la famiglia a Torino. Nel campo profughi “Casermette” di via Veglia e poi l’assegnazione alle Case Popolari di Lucento”.

GLI ECCIDI

Pur essendo all’epoca un bambino, Elvio ricorda anche il contesto storico e i racconti degli esuli che scapparono dalla loro città natale: “La maggior parte degli Italiani partì dall’Istria e da Fiume perché erano terrorizzati dal nuovo regime, alcune persone avevano vissuto sulla loro pelle le persecuzioni. Al campo sentivo racconti di gente a cui erano spariti i parenti dopo essere stati prelevati dalle loro abitazioni, alcuni di questi erano stati infoibati, altri erano stati mandati nei centri di rieducazione nei campi di prigionia jugoslavi”. Il messaggio ai giovani perché coltivino la memoria e la speranza di un futuro migliore “Dobbiamo tramandare questa memoria a giovani, – conclude Elvio – perché è attraverso di loro che passa il senso di ragionevole rilettura della storia, affinché non debba e non possa ripetersi mai più ciò che è accaduto col dramma delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata”.

L’ESODO GIULIANO DALMATA A TORINO

Alla data del 31 dicembre 1946, l’Annuario Statistico della Città di Torino censisce in città 343 individui provenienti dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia. Una cifra, come prima conseguenza dell’esodo, destinata ad aumentare nei mesi successivi. Il primo nucleo di giuliano – dalmati, 100 persone, giunge alla stazione di Torino Porta Nuova la notte del 5 febbraio 1947. Un arrivo cui ne seguono altri, portando a un consistente aumento delle presenze, passate dalle 2.748 unità del 1949, alle 8.058 del decennio successivo. Giunti in Italia portando con sé il minimo indispensabile, gli esuli vivono nella condizione di profughi: non sono in grado di provvedere autonomamente alla loro sopravvivenza, ed è necessario approntare ricoveri destinati ad accoglierli. La soluzione più immediata è di affidare la loro sistemazione a centri di raccolta. A Torino i profughi giuliano-dalmati trovano ospitalità nel Centro Raccolta Profughi delle Casermette di Borgo San Paolo, luogo simbolico della loro presenza sul territorio cittadino. Una minima parte è invece trasferita all’interno di strutture assistenziali (collegi, colonie o alla Casa della divina provvidenza del Cottolengo) o in altri comuni della provincia di Torino, dove sono attivi complessi come le Casermette di Venaria-Altessano, le Casermette di Rivoli e le Casermette di Borgone di Susa. Dal 1954, inizia nel quartiere di Lucento la costruzione del Villaggio di Santa Caterina: un gruppo di case che a partire dal 1955 accoglie le prime famiglie di profughi che, gradatamente, lasciano le Casermette per trasferirsi in abitazioni vere e proprie.

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