Avigliana: Lodovico Marchisio, l’uomo che scala la montagna

AVIGLIANA – Ci sono vite che vanno raccontate, non fosse altro perché tracciano dei piccoli sentieri nei solchi dell’anima. Una di queste, proposta negli anni da alcune emittenti televisive e testate giornalistiche, ma ancora con tante note da suonare, è quella di Lodovico Marchisio, alpinista e scrittore. Nella vita, apparentemente, era un uomo comune, un impiegato in banca, un uomo da scrivania, ma nella realtà, quella più vera, era un sognatore, di quei sogni, che nell’età davvero matura, ha ancora da raccontare, insegnare, far vivere emozioni e sensazioni uniche.

Unico figlio di una coppia ricca d’amore e gioiosa, padre di due figli, Stella e Walter e nonno di tre splendide bimbe. Amico di molti e avventuriero per natura, giornalista, narratore instancabile, oggi racconta per noi qualche spaccato inedito o raccontato solo per sommi capi in passato, nelle sue oltre 20 pubblicazioni, in centinaia di articoli scritti e cime sfiorate. Lodovico Marchisio vive attualmente ad Avigliana, ma ha bene a mente le montagne delle Alpi, per filo e per segno e nel cuore anche la Valsusa.

Si parte sempre dai primi passi…ti ricordi i tuoi primi passi in montagna? Quanti anni avevi? Chi ti ha avvicinato alla montagna? “Mi avvicinò alla montagna mio nonno materno, inconsciamente, perché da buon toscano, era nativo di Siena, mi faceva gli scherzi. Quando a una fiera mi ha fatto prendere un dépliant da un manichino, la sua mano gelata l’ho ricollegata a quando morì ed era ancora nella bara ardente in casa e nessuno mi aveva visto arrivare e dato che adoravo mio nonno Ico, gli ho preso la mano gelata  e sono svenuto. I miei genitori hanno dovuto ricorrere a uno psicologo infantile, che ha consigliato loro di portarmi in convalescenza in una località di montagna. Scelsero Frabosa, un paesino della Val Maudagna, oggi rinomata località sciistica, dove fui attratto da uno sperone roccioso (Il Roccione), dove scoprii il mio senso innato per l’avventura … lo scalai per la prima volta usando una corda pesantissima che serviva per legare le mucche, e fu così che scoprii la montagna che mi salvò da quello stato depressivo infantile, all’età di 7 anni, e la montagna rimase e resta tutt’oggi per me una passione … quasi una fede”-

LA SCALATA

La scalata più emozionante? “Dopo aver salito le più belle cime delle Alpi, rimanendomi solo il ripianto per motivi economici di non essere mai potuto uscire dall’Europa, essendo rimasto il mio sogno incompiuto quello di scalare le più alte montagne di ogni continente, ho avuto comunque la fortuna di entrare a far parte del “Club 4000” per aver salito 38 cime oltre i 4000 metri e il Monte Bianco, la più alta cima delle Alpi, è rimasta la mia cima più emozionale, non per la sua importanza, ma bensì perché compiuta da capocordata con mia moglie Roberta, mancata un anno fa e due amici cari tuttora viventi e a me sempre tanto vicini, Franco e Franca“.

LA PIU’ DIFFICILE

La scalata più difficile?Per logica uno pensa a quando ho scalato il Cervino o il Dente del Gigante grazie alle validissime guide Valdostane, che mi hanno condotto in vetta, ma in realtà su queste importantissime cime mi sentivo protetto e sorretto in tutti i sensi dalle guide, mentre la scalata più difficile, perché intricatissima, che non scorderò mai, è stata l’Aiguille du Dome in Val d’Isére perché è stata una vera e propria avventura per riscoprire questa guglia oltre i 3000 metri di cui da 23 anni non si avevano notizie di salite. Le Guide Francesi della Val d’Isére e le Guide Alpine Italiane contattate, ci avevano detto di non aver mai condotto clienti su questa cima sconosciuta, le guide cartacee francesi, che non hanno come noi collane per tutte le loro zone alpine, ma solo libri di mete scelte, non ne parlano proprio“.

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