SALBERTRAND – Sabato 22 e domenica 23 giugno a Salbertrand si festeggia San Giovanni.Ā In Valle di Susa si conservano, nelle tradizioni popolari, sopravvivenze di lontani riti pagani successivamente assimilati dalla religione cristiana. Il falĆ² di San Giovanni fa parte di quei culti legati al Solstizio d’Estate, nel medioevo associati alla devozione al Santo: era il fuoco acceso dagli antichi Celti, che veneravano il dio Sole, nel tentativo di prolungare le ore di luce proprio quando, in prossimitĆ del solstizio d’estate, le giornate iniziavano ad accorciarsi preannunciando il ritorno dell’ inverno.
LA FESTA NELLA TRADIZIONE
La festa di Salbertrand ha origini antiche. In un passato non troppo lontano, i fuochi di San Giovanni illuminavano tutti i villaggi, gli alpeggi, i poggi dell’Alta Valle. Il giorno successivo, all’alba, era consuetudine recarsi nei prati ancora umidi per bagnare gli occhi con la rugiada purificatrice e comporre piccoli mazzi di fiori di campo che, disposti a croce, venivano messi sulla porta di casa a protezione dei suoi abitanti. Il bestiame condotto al pascolo veniva fatto passare sopra le ceneri dei fuochi nella speranza di preservare zampe e zoccoli dalle malattie.
STORIA DI SALBERTRAND
Salbertrand ĆØ nominato per la prima volta, come āSala Bertaniā, sul diploma imperiale di Ottone III datato 31 luglio 1001. Il nome ricompare trasformato in āSalabertaniā, il 9 luglio 1029 sullāatto con il quale il marchese di Torino, Olderico Manfredi, e sua moglie, Berta dāEste, effettuano donazioni a favore dellāabbazia benedettina di San Giusto in Susa. A partire dalla seconda metĆ dellāXI secolo, Salbertrand fa parte del Delfinato e poi del Regno di Francia, insieme agli altri paesi dellāAlta Valle di Susa a monte di Gravere. Con la firma del trattato di Utrecht, nellāanno 1713 le terre del Delfinato, al di qua dello spartiacque alpino, vengono cedute ai Savoia. Una battaglia combattuta a Salbertrand il 3 settembre 1689 contro i francesi, permise ai seguaci di Valdo, al rientro dal loro esilio in Svizzera, di proseguire verso le native valli del Chisone e del Pellice.
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