Una visita alla Sacra di San Michele: la storia tra Papa Silvestro e padre Antonio Rosmini

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SACRA DI SAN MICHELE – Una visita alla Sacra di San Michele: la storia tra Papa Silvestro e padre Antonio Rosmini.

UNA VISITA ALLA SACRA DI SAN MICHELE

Dell’abbazia della Sacra di San Michele scrive Bruno Gambarotta nel libro “Sacra di San Michele in Valsusa” edito da Susalibri. “Per una grande moltitudine di esseri umani esistono luoghi che, almeno una volta nella vita, devono essere visitati. Come la Mecca per i praticanti la religione di Maometto. Tempo addietro per i cristiani il luogo santo era la città di Gerusalemme. Quando divenne impossibile andarci, furono costruiti i Sacri Monti, come quelli di Varallo e di Crea, sostitutivi del pellegrinaggio in Terra Santa. Per un piemontese, il luogo che almeno una volta nella vita deve conoscere è la Sacra di San Michele”.

LA SUA LUNGA STORIA

Sulla storia del monumento Gambarotta pone l’accento sull’architettura. “È uno sguardo che abbraccia millenni, di lì, dalla Chiusa in fondo valle sono transitati liguri, celti, romani, burgundi, goti, franchi, bizantini, longobardi, carolingi, saraceni, solo per citare i popoli antichi. E tutti, chi più chi meno, hanno fatto danni e, nello stesso tempo, mescolandosi hanno contribuito al carattere dei piemontesi. Non c’è dubbio: chi sale i 170 gradini in pietra dalla soglia del portone al vertice della chiesa, superando 41 metri di dislivello, chi attraversa l’atrio dei morti per varcare la Porta dello Zodiaco con le rocce del monte che aggettano dai muri, chi passa sotto gli archi rampanti che reggono i contrafforti, chi entra nel portale dei monaci per affacciarsi sul belvedere, ne riceve un’impressione indelebile che non scorderà più. Ma sarebbe un grande peccato se si accontentasse di posare il suo sguardo stupefatto sulla superficie delle cose e del paesaggio, ignorando gli avvenimenti storici, le ambizioni umane e divine, le visioni e le leggende che hanno fatto sì che la Sacra diventasse una strabiliante impresa che ha più di 1000 anni di vita”.

LA COSTRUZIONE, L’ARCANGELO MICHELE

Lo scrittore cita poi le presunte date di costruzione. “Due sono le possibili date di nascita della Sacra. I cronisti del tempo non facevano troppa attenzione alle date, 983 o 987, ma poco importa. Abbiamo visto che tutti transitavano da quelle parti, compresi i pellegrini che andavano a Roma e ritornavano a casa. Fra questi c’era un aristocratico dell’Alvernia, Ugo di Montboissier, che, su esortazione di Papa Silvestro, fonda un’abbazia dedicata all’arcangelo Michele. La fa costruire in un luogo strategico, su una montagna che sovrasta la valle e domina la strada di accesso alla pianura. I suoi mille metri sono così vertiginosamente verticali da indurre a credere che fosse impossibile la costruzione della Sacra e alimentare la leggenda che l’abbazia fosse stata edificata da un gruppo di eremiti guidati da Giovanni Vincenzo e poi trasportata dagli angeli sull’altra cima”.

PRIMA I BENEDETTINI POI I ROSMINIANI

Chi abitò e abita la Sacra? Gambarotta spiega. “L’abbazia è affidata ai benedettini seguaci di San Benedetto da Norcia che dall’abbazia di Montecassino, dove dimorò dal 529 al 547, dettò una regola che si attaglia perfettamente al carattere dei piemontesi: prega e lavora. Come anche il fatto che in nessun luogo come in questo si celebra la libertà: sul monte Pirchiriano l’unico che comanda è l’Arcangelo San Michele. Gli abati si succedono nel tempo uno dopo l’altro, fino al 1362, quando Pietro III di Fongeret a causa della sua pessima condotta consente a Casa Savoia di diventare patrona del monastero e di nominare gli abati secolari. Era un modo lecito per lucrare lauti benefici dai tanti possedimenti frutto di lasciti che l’abbazia aveva sparsi in Europa.

Le commende furono in tutto 26 e andarono avanti fino al 1836. Fra i commendatari ci furono Emanuele Filiberto quando aveva 15 anni, nel 1603; la tenne un anno per cederla al suo maestro, Giovanni Botero, autore de “La ragion di Stato”, contro le tesi di Machiavelli. Monastero e chiesa piano piano cadono in rovina, con il valido concorso dei cannoni francesi, nel 1630 e nel 1706. Finché il 23 ottobre del 1836 Carlo Alberto, dimostrando di essere anche in questa circostanza un grande sovrano, offre l’opera a padre Antonio Rosmini”. Così si passa dalla storia alla cronaca.