Pittura in Valsusa: il pittore della Curva Maratona del Toro Serafino Geninetti

EXILLES – Per chi non lo conoscesse, Serafino Geninetti (1934-2013) era l’autore di tutte le coreografie che hanno reso mitica la Maratona negli anni 70/80. Era lui che aveva le intuizioni e le idee, quali i due teloni bianchi con il Toro rampante. Quelli che scorrevano sulla curva, come ad aprire il tendone di un teatro. Ogni domenica il pittore dipingeva il tifo granata. Ebbi l’occasione di conoscerlo quando partecipai al 3° Concorso Nazionale di Pittura estemporanea 1977 “Alta Valsusa” da lui organizzato. Con un tour a tappe nelle località Sestriere, Cesana, Salbertrand e Giaglione. Ma Geninetti era un vulcano di idee. In un piccolo sobborgo alpino abitato da 27 persone. “San Colombano di Exilles” nel 1982 affrescò una chiesa in 37 giorni per fare un regalo ai vecchi montanari.

AI TEMPI DEL VESCONO BERNARDETTO

C’è tutta la vicenda che lega Serafino Geninetti alle montagne e a una fatica da gigante compiuta a tempo di record per restituire l’antico tempio al borgo. Così Monsignor Vittorio Bernardetto (Vescovo di Susa dal 1978 al 2001) disse dell’artista: “Non so se si raccontano ancora le “storie” come nei bei tempi andati. So però che accadono ancora. Questa Storia che finirà il 17 agosto 1982, nasce tra i monti di casa nostra un po’ più in su di Exilles, dove la strada si inerpica tra i larici e si placa tra casolari che sembrano sostenersi l’un l’altro, nella frazione di San Colombano. La via centrale porta ad una chiesa neppur modesta per proporzioni, ma abbarbicata, quasi contratta, su di un minuscolo pianoro. Appare ancora più ampia, per il dito del suo campanile puntato verso il cielo. Col tempo la cappella era rimasta l’unico edificio che si animava per qualche messa, ma si era fatta vecchia, con macchie di umidità un po’ dovunque, quadri corrosi dalla muffa, in stato fatiscente.

LA CAPPELLA

Stava sul punto di essere abbandonata, come un vecchio tetto pieno di ricordi e di nostalgie. Non si era fatto il conto, però che tra pochi abitanti rimasti in borgata, si era infiltrato da qualche anno, chissà poi come e perché, un pittore solitario, affermato nel suo lavoro, esuberante ed estroverso, dal volto sorridente, circondato da una chioma folta, là dove non è riuscita a vincere la calvizie, e incoronata da basette, quasi barbigli, che non hanno mai conosciuto il ritocco di un barbiere. Serafino Geninetti, appunto, e per chi lo conosce è tutto detto. Quel pittore che a Torino insegna come ricuperare per l’arte materiali da discarica, organizza Carnevali con Gianduia e Giacometta, un certo giorno si impunta e dice che quella chiesa lì deve riprendere il volto giovane di una madre gioiosa. Chiede alla Curia la chiave, non impone condizioni, non promette nemmeno, d’ora in poi, di esserne un frequentatore abituale, ma assicura che quando la restituirà il 17 agosto, chi ne varcherà la soglia, dopo il segno della croce dovrà gridare un oh! di meraviglia.

san colombano

L’OPERA

L’opera svolta in pochi mesi è stata immane per lui e per quei pochi, ma ci sono tutti quelli di San Colombano, che l’hanno seguito. Roba da matti da “slegare”. Si è rifatto il tetto, risanato le pareti, rinfrescato volta e lesene, ripulito le cassepanche e Geninetti, il pittore che in chiesa non va, ha voluto che dentro ci rimanessero i suoi affreschi. Ora tutto è ultimato, anche la guglia in rame del campanile. Così una cappella cadente è rifiorita lassù nella cascata di verde, come in una fiaba dove i folletti sono uomini generosi con giornate di “roide” (il lavoro di un tempo disinteressato per la costruzione delle chiese) sulle spalle, trascinati da un pittore caparbio, cocciuto e tenace, che nel giorno della inaugurazione forse si metterà da parte, sogghignando, come certe figure fiamminghe in quadri di epoche passate.

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