Gente e storie di Valsusa: Dario Raimondo, la strada del ferro e della vita

RUBIANA – Eā€™ stato il testimone ā€“ meglio sarebbe dire lā€™artefice di unā€™epoca ā€“ Dario Raimondo, classe 1934, lassĆ¹ al Ferro nellā€™alto rubianese. Pensi ad un luogo dove vigeva lā€™arte del mangiar bene e non puoi non pensare a Dario e Marisa quelli dellā€™osteria del Ferro. Ma non soloā€¦ Oggi ĆØ un testimone, un ā€˜serbatoioā€™ di memorie che puĆ² dissetare la mia curiositĆ  sulle storie di queste terre avite del ā€˜populus familiae Raimondoā€™ cui entrambi apparteniamo per via di quegli intrecci di lontane ed inestricabili parentele. Mā€™attende, Dario, nella sua casa che ĆØ come aggrappata su dā€™un poggio al limitare tra il bosco e la strada del Ferro, la via della sua lunga vita. Eā€™ un poā€™, la casa, come un maniero, perchĆ© si domina la Valmessa: lo sguardo scivola dal fondovalle su fino al Colle del Lys e le immagini statiche del paesaggio di un giorno qualsiasi del febbraio dellā€™anno 2022 si animano nello sguardo vivido di Dario, nella sua voce, quasi e come se il passato, fatto di immagini, suoni, sapori, odori provenienti da qualche remoto altrove, riapparisse ora qui.

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RICORDI

Flashback da raccogliere in un attimo fuggente: ā€œNon puoi immaginare comā€™era qui prima che la foresta inghiottisse tutto: ai tempi della mia fanciullezza tutti i terreni che ora sono proni agli dei del bosco erano coltivi fatti di campi, prati, pascoli e frutteti. Di primavera i meli, i peri, i susini, fiorivano in unā€™esplosione di fiori e nellā€™aere silente sentivi il ronzio delle api, un soffice concerto al servizio della vita che produceva, per i nostri vecchi, alla fine dellā€™estate e dā€™autunno, una quantitĆ  incredibile di frutta. La vendevano sai, la vendevano praticamente tuttaā€¦ La portavano, chi con la gerla, chi coi muli o coi cavalli giĆ¹ al mercato di Almese dove i grossisti compravano tutto. Arrivava fino a Milano sulle mense di quella cittĆ  che per i nostri vecchi era quasi un luogo mitico. Dire che ā€˜ i pum e i prus e i ramassin dā€™l Fer a rivu fin-a a Milanā€™ sembrava epico: quasi come andare sulla Luna.ā€

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TEMPI DI GUERRA

Altri tempi. Tempi di guerra che oggi ricordiamo al Museo della Resistenza del Colle del Lys. Dario Raimondo era bambino ma ricorda bene i rastrellamenti del 1944: ā€œFu il momento terribile dā€™una sera quando si sparse la notizia che la truppa germanica stava risalendo su per la Valmessa con una manovra a tenaglia che aveva lo scopo di annientare le forze partigiane. Allā€™osteria mio padre aveva ospitato dei partigiani e non gli rimaneva che fuggire. Ricordo ancora i suoni della mitraglia, la voce roca e dura del graduato che minacciava di uccidere mia madre e bruciare tutto se non avesse detto dovā€™erano i ā€˜banditenā€™ā€¦ Ed io col cuore in gola ā€¦ ā€˜sentivoā€™ come in un sogno o come in un incubo, la corsa di mio padre su per le forre fino alla via del rifugio che aveva ideato. Era un anfratto. Mi raccontĆ², mio padre, che gli furono praticamente ā€˜addossoā€™ ma non lo videro perchĆ© per fortuna la Luna era tramontata.ā€ Il destino aveva deciso che per papĆ  Pietro Raimondo e mamma Margherita Blandino non fosse quella lā€™ora e cosƬ si salvarono la vita.

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LA SCUOLA

Ovviamente di quellā€™infanzia questo ĆØ il ricordo piĆ¹ brutto. Vā€™ĆØ nā€™ĆØ uno molto bello: sovviene alla memoria con la grazia del volo del falco o dellā€™impronta lasciata dallā€™ermellino sulla candida neve. Racconta: ā€œA scuola! Cominciava cosƬ la giornata, anche dā€™inverno. E ti parlo di un tempo in cui esisteva davvero lā€™inverno. Partivamo tutti per andare a scuola a Favella a piedi: quello era il nostro scuolabus. Su per il sentiero che attraversava il bosco il paesaggio era magico imbiancato dalla neve che creava un mondo incantato, che il gelo cristallizzava per mesi. Era bello, almeno cosƬ ci pareva nellā€™infante spensieratezza, sentire il ā€˜crepitioā€™ delle scarpe che affondavano nella neve, un rumore ā€˜sordoā€™, che si generava in quellā€™ovatta bianca. La scuola era una pluriclasse. Cā€™era la stufa a legna che scaldava lā€™aula fumando ogni tanto un poā€™. La lavagna nera, lā€™odore dei gessetti e dellā€™inchiostro, il vociare ed il ā€˜ragliareā€™ dei ripetenti. Poi il silenzio improvviso quando arrivava la maestra, Elda Dosio. Era un poā€™ algida, ma insegnava da Dio a quei ragazzi di montagna che con la scuola elementare potevano accedere ai primi passi del sapere.ā€ Un ā€˜sapereā€™ che era importante, il primo ā€˜rudimentoā€™ per affrontare quello che sarebbe poi stato il divenire della vita.

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L’OSTERIA DEL FERRO

Per Dario la via della vita era giĆ  tracciata ed in fondo era quella segnata il 28 aprile del 1921 quando la prima licenza per lā€™Osteria del Ferro fu concessa ai genitori: unā€™avventura che tra alti e bassi ha percorso le strade di un secolo e che si spera possa ripartire nellā€™avvenire perchĆ© la buona cucina del Ferro avrĆ  sempre i suoi estimatori. Dario per lunghi anni ĆØ stato il cantoniere della strada del Ferro che da Rubiana sale al Colle del Lys ma, fondamentalmente, ĆØ sempre stato lā€™ostu du Fer. Ricorda con dovizia di particolari quellā€™etĆ  dellā€™oro che furono gli anni del dopoguerra, gli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, lā€™etĆ  dellā€™ottimismo. Li ricordate? Tutto iniziĆ² con i fuochi dā€™artificio di quellā€™aprile del 1961 quando Jurij Gagarin impresse il sigillo allā€™epoca nuova che stava arrivando e che sarebbe arrivata alla Luna. Ma non solo. Lā€™Italia del boom economico, del ā€˜sessantottoā€™, dellā€™autunno ā€˜caldoā€™, lā€™Italia di Enrico Mattei e di Giovanni XXIII, della ā€˜frecciaā€™ Livio Berruti lanciata alle Olimpiadi di Roma sulle strade del ā€˜Ragazzo della via Gluckā€™. Lā€™Italia campione dā€™Europa nel 1968 e vicecampione del mondo a Mexico 70, lā€™Italia che, seguendo la voce di Renato Carosone sin dagli anni Cinquanta di ā€˜tu vĆ² fa lā€™americanoā€™ raccontava, col titanico cinema di Sergio Leone, un West ā€˜de noantriā€™talmente reale da inchiodare sulle sedie delle sale persino gli autentici yankke. Lā€™Italia della nutella che addolcƬ unā€™epoca e che abbacinĆ² tutti col sogno della dolce vita fu anche a Rubiana.

IL CAMBIAMENTO DEL PAESE

Racconta: ā€œLā€™Osteria del Ferro ĆØ stato il battito del mio cuore. Gli anni dello scorso secolo, soprattutto quel ventennio che va dal Sessanta allā€™Ottanta, unā€™etĆ  indimenticabile. Fu lā€™etĆ  della metamorfosi: Rubiana cambiĆ² pelle, compƬ, nel bene e nel male, un straordinario cambiamento, nel quale si perse la ā€˜ruralitĆ ā€™ dei tempi precedenti. Il paese crebbe ed essendo nella prima cintura di Torino acquisƬ una dimensione turistica che nessuno aveva mai immaginato. Far le ferie o trascorrere un wek-end a Rubiana era, per la classe operaia ed impiegatizia della vicina Torino e di altrove, un simbolo, uno status sociale da spendere magari il lunedƬ in fabbrica od in ufficio. Noi eravamo sempre pieni.

Noi eravamo davvero quello che oggi si chiama Km. zero: coltivavo gli orti per avere verdure fresche, compravo e pigiavo lā€™uva e mi facevo il vino da portare in tavola, allevavo il pollame ed avevo la galline per avere sempre le uova genuine e fresche. Per dirla con una battuta i nostri ā€˜copertiā€™ non restavano mai ā€˜scopertiā€™ ed in quegli anni in cui non esisteva ne lā€™oppressione fiscale ne lā€™oppressione burocratica ci cullammo nel dolce sogno che in fondo lā€™America fosse qui. E poi cā€™era la neve dā€™inverno, non immagini quanta. Al Colle del Lys sciavano sempre ed essendo la stazione sciistica piĆ¹ vicina alla cittĆ  cā€™era sempre il pieno. Era una favola, era un sogno e noi che eravamo sulla strada del Colle diventavamo quasi una sorta di ā€˜sosta obbligataā€™ per chi saliva su. Ho ancora in mente tantissimi aneddoti di quelle giornate ormai lontane, perchĆ© oltre che unā€™osteria eravamo anche un ā€˜luogo di ascoltoā€™ di quei turisti che si fermavano per un caffĆØ o per mangiare lā€™ottima cucina di Marisa. La cosa piĆ¹ bella di quel tempo ĆØ che nacquero delle amicizie che sopravvissero per lustri alle effimere date del calendario.ā€

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UNA GENERAZIONE

Un calendario che poi ĆØ andato inesorabilmente avanti con costanza implacabile: tempus fugit.Ā Sino ad oggi, nel centro dellā€™inverno che non cā€™ĆØ. Dario Raimondo mi accompagna sulla veranda che fa da serra alle sue splendide piante di limone: di fronte a noi la Valmessa brulla, assetata, tormentata dal vento, riarsa da un meteo semplicemente folle. Sottotraccia mi sussurra una metafora: ā€œLa mia generazione, quella dei nostri avi, ĆØ stata fatta da uomini duri, coriacei, gente ā€˜di ferroā€™ abituata ai tempi difficili che con il loro lavoro hanno creato tempi facili. Spero che la vostra generazione, nata in tempi facili, non sia fatta da uomini deboli, perchĆ© non so con quale arte riuscireste a cavarvela se i tempi diventassero davvero difficili“.

L’OROLOGIO DELLA NATURA

E continua: ā€œMi spaventa questā€™inverno che non cā€™ĆØ ā€¦ non so che cosa significhi nellā€™orologio della natura e a che cosa preluda. Non ho mai visto nulla di simile e mai e poi mai avrei immaginato che sarebbe arrivato un giorno in cui avrei desiderato lā€™invernoā€¦ā€ Al commiato, nel grande silenzio che dal cielo si stende su di noi, mi stringe forte la mano con la stretta dei suoi quasi ottantotto anni. Incrocio il suo sguardo e per unā€™attimo mi pare di vedere, dā€™udire, quellā€™allegra combriccola di ragazzini che nella neve saliva su alla scuola di Favella. Eā€™ lā€™illusione o forse la speranza racchiusa in un refolo di vento : la neve forse ancora verrĆ . Forse(ā€¦)

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