ROMA – Coronavirus fase 2, il disaccordo dei Vescovi della Chiesa Cattolica Italiana. Ieri sera, 26 aprile, il Presidente del Consiglio Conte ha illustrato i contenuti del nuovo decreto e le prossime tappe della ripartenza: il 4 maggio, poi il 18 maggio, infine il 1° giugno 2020. Ha elencato le misure sociali che andranno adottate nella vita quotidiana. La Conferenza Episcopale Italiana esprime dunque la sua posizione, in merito al divieto di celebrare le messe che sarà prorogato anche dopo il 4 maggio.
IL DISACCORDO DEI VESCOVI
La CEI, Conferenza Episcopale Italiana, Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, ieri sera ha emesso il seguente comunicato stampa. “Sono allo studio del Governo nuove misure per consentire il più ampio esercizio della libertà di culto”. Le parole del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, nell’intervista rilasciata lo scorso giovedì 23 aprile ad Avvenire arrivavano dopo un’interlocuzione continua e disponibile tra la Segreteria Generale della CEI, il Ministero e la stessa Presidenza del Consiglio. Un’interlocuzione nella quale la Chiesa ha accettato, con sofferenza e senso di responsabilità, le limitazioni governative assunte per far fronte all’emergenza sanitaria. Un’interlocuzione nel corso della quale più volte si è sottolineato in maniera esplicita che, nel momento in cui vengano ridotte le limitazioni assunte per far fronte alla pandemia, la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale“.
L’ESERCIZIO DELLA LIBERTÀ DI CULTO
“Ora, dopo queste settimane di negoziato che hanno visto la CEI presentare Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri varato questa sera esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo. Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità, dare indicazioni precise di carattere sanitario. E quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana. Nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia. I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale“.
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