L’Abbazia di Novalesa, il millenario faro di cultura e spiritualità ai piedi del Moncenisio

Abbazia di Novalesa

NOVALESA – L’Abbazia di Novalesa, il millenario faro di cultura e spiritualità ai piedi del Moncenisio. Dalle origini all’XI secolo. L’abbazia ha quasi 1300 anni di storia e sorge a poca distanza dal pittoresco abitato di Novalesa. È situata al centro della Valle Cenischia, lungo la via Francigena. Fondata il 30 gennaio 726 sulle sue terre dal duca di Provenza Abbone, è una delle più antiche dell’arco alpino occidentale. Il nobile la dedica ai santi Pietro e Andrea. Nell’Alto Medioevo è tra le più importanti e potenti d’Europa. L’atto di fondazione è oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Torino. Una copia la si può ammirare presso il museo dell’abbazia. Questo era un luogo strategico utilizzato dai franchi per contrastare i longobardi.

LE ORIGINI

Abbone nomina San Godone primo abate del monastero. Il duca alla sua morte lascia in eredità all’abbazia i suoi vasti possedimenti nella valle del Rodano, a Ginevra e in Valsusa. I sovrani franchi attribuiscono al complesso numerosi privilegi. Tra questi la libera elezione dell’abate e il pieno possesso dei beni di fronte ad ogni autorità. L’abbazia estende sempre di più i suoi possedimenti. Anche nel basso Piemonte e nell’entroterra ligure di ponente. Gli abati sono veri e propri feudatari. Esercitano il potere temporale sui paesi di Venaus, Novalesa e Ferrera. Nel 773 Carlo Magno si ferma qualche mese presso il monastero. Qui studia la strategia per sconfiggere i longobardi nella Battaglia delle Chiuse d’Italia. Il suo legame con il complesso lo porta ad affidare ai monaci il figlio Ugo. Sarà eletto abate.

SAN ELDRADO

Nel 814 si trasferisce qui Eldrado. Ricco nobile appartenente ad una famiglia dell’aristocrazia guerriera franca. Rimasto orfano a 20 anni, aveva deciso di donare i suoi beni ai poveri e diventare pellegrino. Stabilitosi al monastero, diventa abate dall’825 all’844. Dirige il complesso con saggezza, dispensando molti miracoli. Fa costruire il campanile della chiesa e fonda molti complessi religiosi. Tra i quali l’Ospizio del Moncenisio e un monastero a Monetier, vicino a Briancon. Località allora di intenso traffico di pellegrini e di viandanti. Per le sue opere è stato santificato dalla Chiesa.

LA CAPPELLA

Nel complesso dell’abbazia si può ammirare la cappella costruita per ospitarne la tomba. E’ dedicata a San Elrado e San Nicola. Pregevoli sono gli affreschi. Risalgono a fine XI secolo. Le spoglie del santo sono oggi custodite nella Chiesa Parrocchiale di Santo Stefano. Ogni anno, la domenica più vicina al 13 marzo, ricorrenza di Eldrado, raggiungono in processione la cappella nel complesso abbaziale. Dall’anno 817 i monaci adottano la regola benedettina.

L’INVASIONE DEI SARACENI

Nel IX secolo, i saraceni, veri e propri predoni arabi, profittando della disgregazione del potere regio, si installano lungo la costa provenzale. Da qui partono per compiere razzie nella regione alpina. Nel 906 valicano le Alpi. I monaci riescono a fuggire portando con sé oggetti preziosi e oltre 6000 libri. Vengono protetti dal marchese d’Ivrea Adalberto I. Trovano così rifugio presso la Chiesa di Sant’Andrea, ora incorporata nel Santuario della Consolata. I pochi monaci rimasti subiscono sevizie. Due di loro vengono catturati e uccisi dai saraceni. Oggi la Chiesa li venera come martiri. Sono i santi Gusti e Flaviano. Adalberto dona ai monaci numerosi territori in Piemonte, Liguria e Lombardia occidentale. E soprattutto alcune terre nella Lomellina, dove edificare un monastero. Il luogo, Breme, era alla confluenza tra Po e Sesia, poco distante dalla sede imperiale di Pavia. Viene così fondata l’abbazia di San Pietro.

IL RITORNO DEI MONACI

Arduino III nella seconda metà del X secolo riesce a liberare la Valsusa dai saraceni. Nel 941 fonda la “Marca di Torino”. I monaci possono così tornare a Novalesa. L’abbazia viene ricostruita su iniziativa dell’abate Gezone. Al monaco architetto Bruningo viene affidato il compito di sovrintendere alla ricostruzione degli edifici distrutti. Nella rinascita del monastero è molto importante la figura di Adelaide di Susa. Breme e Novalesa diventano un organismo unico e gli abati si nominano “abate di Novalesa e Breme”. Questo legame terminerà a fine XV secolo.

IL CHRONICON NOVALICENSE

Risale alla metà dell’XI secolo il “Chronicon Novalicense”. La pergamena che racconta le vicende dell’abbazia dall’anno della fondazione. Opera di un monaco rimasto anonimo, è conservata all’Archivio di Stato di Torino. Una copia la si può ammirare nel museo del monastero. Il complesso è dotato di un importante scriptorium. Le opere degli amanuensi sono oggi conservate in molte biblioteche, musei e chiese del mondo.

L’IMPORTANZA DI NOVALESA NEL MEDIOEVO

Nel medioevo Novalesa, insieme a Lanslebourg, è un paese di interesse strategico in quanto base per la salita al Moncenisio. La strada come la conosciamo oggi è stata infatti fatta costruire da Napoleone. Quella antica passava proprio dalla città dell’abbazia. Qui si scaricavano i carri per raggiungere il valico a piedi o con i muli. All’opposto chi vi discendeva diretto alla pianura rimontava le proprie mercanzie. In quel periodo nel versante transalpino gravitano sul valico le grandi strade della Francia centrale. Quelle che provengono dalla Champagne, dal medio Rodano e da Lione. Tutte confluiscono su Chambery e da qui i pellegrini e mercanti si avviano verso la Valle dell’Arc, per salire al colle. Giunti sulla sommità trovano ristoro presso l’Ospizio del Moncenisio.

Testo e foto di Andrea Carnino

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