Il pittore Romano Bartolomasi, già allievo del Maestro Angelo Rescalli e di Pietro Favaro

BUSSOLENO – Il pittore Romano Bartolomasi, fratello di don Natalino (1927-1999), sacerdote della Diocesi di Susa, insegnante e cultore di filosofia e storia. Nato ad Alpignano il 14 luglio 1929, da Biagio e Longo Lucia e nipote di monsignor Angelo Bartolomasi. Nel paese natio ha vissuto e operato per molto tempo. Trasferitosi con la famiglia a Bussoleno, nel 1960 sposa Marilena dalla cui unione sono nati due figli: Marco e Lucia missionaria delle Suore della Consolata. Dopo una prima esperienza da autodidatta frequenta per alcuni anni lo studio del pittore Rescalli, paesista divisionista. “Chi conosce le opere di quel grande pittore cremonese – scrive Severino Savi – facilmente riconosce in Romano Bartolomasi il suo continuatore“. Angelo Rescalli era il mago del colore. “La caratteristica del Rescalli – scrive Nasalli Rocca- è quella di essere indiscutibilmente un poeta del paesaggio, un principe di quella pura comprensione della bellezza della natura“.

LA PITTURA

In seguito, sotto la guida del maestro Pietro Favaro, frequenta la scuola fondata dal Reffo (di cui il Favaro è degno continuatore). Apprende le regole fondamentali del disegno e del ritratto. Benchè ammiratore del Segantini ed assimilatore della tecnica rescalliana del divisionismo, Bartolomasi ha già tentato, e in parte acquisito, uno stile personale d’interpretazione del paesaggio con una pennellata via via più indipendente riguardo ai mezzi espressivi del suo primo maestro. Nella sua non secondaria attività ritrattistica si fa invece più evidente l’influsso della scuola del Reffo mediata come si è accennato dal Favaro. Romano Bartolomasi, pittore valsusino di scuola divisionista, ha dedicato la propria vita artistica allo studio della luce e del paesaggio attraverso l’impiego di questa tecnica ormai poco praticata e conosciuta al grande pubblico attraverso le opere dei grandi maestri piemontesi del colore.

IL SEGNO

“E’ capace di rivelare tutto l’amore che nutre per la propria terra e presentare il reale come qualcosa di vivo, di pulsante, di insostituibile; per questo che ogni suo dipinto, sviluppando una vitalità organica immediata e pregnante, provoca riflessi e stimolanti assonanze“. Scrive Antonio Oberti. Ogni forma che nasce nei suoi quadri è “il risultato di una ricerca amorosa e costante, un tentativo quasi sempre riuscito di sfuggire alla morsa del vivere quotidiano, con un gesto nostalgico e malinconico, per un bisogno naturale di tranquillità  e di pace; in ogni suo quadro sempre si avverte questo suo mondo personale che rende l’opera liricamente vibrante. Il Bartolomasi offre con le sue tele quanto di meglio e riposante possiamo cogliere nell’eterno incomparabile scenario della natura. Queste serene immagini della nostra coloratissima conca valsusina, descritte con profondo sentimento di amore e con infinita grazia sognante, sono pagine che nessun mutamento di gusto e di principio potranno mai cancellare”.

Romano Bartolomasi

L’OPERA PITTORICA

Scrive il critico Guido Ferrero. “L’opera pittorica deve sempre essere in grado di suscitare, nello spettatore anche sprovveduto, sensazioni ed emozioni e dare ampio spazio al sentimento; deve soprattutto avvalorare l’espressività di un linguaggio pittorico e grafico che, senza tradire né gli aspetti delle cose nè le intenzioni dell’artista, acquisti una forma ricca di contenuto umano e poetico e diffonda nell’atmosfera tutto ciò che c’è di felice e di immediato.  E’ il caso di Romano Bartolomasi che, nel paesaggio, sa rivelare tutto l’amore che nutre per la propria terra e presentare il reale come qualcosa di vivo, di pulsante, di insostituibile. E’ per questo che ogni suo dipinto, sviluppando una vitalità organica immediata e pregnante, provoca riflessi e stimolanti assonanze. Un linguaggio, dunque, di immediata percezione quello del pittore piemontese, che nei suoi itinerari alla ricerca della natura bella invade di colori e di luce un’antica chiesina o una cappella votiva, il riposante incanto di Pian Cervetto o una sera d’estate, un ruscello, un vicolo o una baita, un campo o un laghetto alpino”.

I LUOGHI

“In quei luoghi ed a contatto di quegli scenari la sua arte non può passare inosservata: è un metodo, se così vogliamo chiamarlo, sufficientemente volumetrico che, trasportandoci in un mondo pulito, non ci fa rinnegare la dolce poesia paesaggistica e la partecipazione del sentimento. Soggetti, tutti, precisiamo, che mettendo in risalto la prospettiva, la trama finissima e divisionista delle pennellate e la introspettiva realtà delle visioni, rendono evidente l’animo dell’artista. Accordi cromatici forti o riposanti rendono la chiarità squillante del paesaggio, conferendo non solo senso estetico ma soprattutto palpiti, speranze e certezze. Gli stessi intendimenti che si ritrovano, non immemori delle lezioni del maestro Favaro, nei vari ritratti e nei soggetti religiosi. Dove nulla è affidato al caso ma appoggiandosi ad una cromia a volte anche pastellata, preziosa e sonora, trae sempre nuove rispondenze umane e divine dalla materia colorata. Sottolineando, per concludere, la ricerca psicologica del personaggio dove il colore esercita sempre un notevole fascino senza nulla togliere alla espressività dell’inventiva”.

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