Perchè Mussolini non fermò la distruzione dello Chaberton? Il 21 giugno del 1940 le cannonate, poi il silenzio

CESANA TORINESE – Il 21 giugno 1940, giusto ottantadue anni fa, fu la giornata che consacrò alla storia e al mito la più alta fortificazione d’Europa, la Batteria Chaberton (3130 m). L’artiglieria del forte era entrata in azione nella giornata del 20 giugno 1940, in coincidenza con l’inizio dell’attacco italiano al settore del Monginevro condotto dalle due divisioni di fanteria Assietta e Sforzesca. Le torrette della batteria avevano aperto il fuoco alle 8 di mattina. Alle 9,26 quattro cannoni tiravano sui forti Janus e Gondran e sul Bois des Sestrières, alle  pendici dello Janus. Alle 9,40 il diario storico dell’8° Raggruppamento di artiglieria indicava fuoco dello Chaberton sul monte Chenaillet e sul villaggio di Le Bourget, nella valle di Cervières, obiettivo dei fanti italiani che stavano calando in forze dal Colle Bousson e Bourget. Nel pomeriggio, su ordine del Comando, il tiro venne intensificato e spostato sugli obiettivi posti nella Valle Cerveyrette, dove si stava concentrando l’attacco delle truppe italiane.

21 GIUGNO 1940 IL GIORNO DELLO CHABERTON

La risposta francese non tardò a farsi attendere. A pochi chilometri di distanza, nella Valle di Cervierès, i francesi, seguendo un piano accuratamente studiato e predisposto fin dal 1937 per neutralizzare il forte italiano, avevano schierato due sezioni di mortai Schneider da 280 mm nelle località di Poet Morand e di Eyrette, al riparo del costone roccioso dell’Infernet. Da qui si poteva colpire lo Chaberton senza essere individuati. I mortai lanciavano enormi granate da duecento chilogrammi, di cui oltre sessanta erano di esplosivo.

Schneider

LA BATTERIA DELLO JANUS

Il 21 giugno 1940 fu scelto per colpire o Chaberton. Mentre la batteria italiana batteva lo Janus, la 6a batteria del 154° RAP (Raggruppamento di Artiglieria da posizione) del tenente Miguet iniziò a far sentire la sua voce, dando il via al micidiale tiro di distruzione. Un fremito intenso percosse la roccia attorno allo Chaberton. La forte esplosione del colpo caduto sulla parete della montagna, bastò per far capire a tutti che ormai si era nel mirino del tiro avversario. Alle 9,01 l’osservatorio italiano del monte La Plane comunicava che “su Chaberton c’è tiro di controbatteria francese”. Le esplosioni dei proietti da 280 erano ora ben visibili: poco per volta i colpi cominciavano a giungere più vicini alla cresta sommitale. L’azione continuò, peraltro ostacolata dalla nebbia, fino a quando Miguet non riuscì a comprendere lo Chaberton tra una serie di colpi corti ed una di colpi lunghi.

IL POMERIGGIO

Nel pomeriggio lo Chaberton tornò ad essere nuovamente visibile. Ore 16,20: dallo Chaberton segnalavano che ogni tanto arrivava un colpo di controbatteria. La nebbia andava e veniva. Alle 17 una schiarita, la cima tornava visibile e fu l’inizio del dramma: una granata da 280 colpì la spianata in prossimità della prima torre, proiettando le schegge all’interno della casamatta. Rimase mortalmente ferito l’artigliere Umberto Orsenigo, che fu il primo caduto della batteria 515a, e gravemente ferito il sergente maggiore Ferruccio Ferrari.

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LA QUINTA TORRE

Qualche minuto dopo un altro proietto investì la quinta torre, scalzandola dal basamento; uno dei serventi, orribilmente ustionato, venne sbalzato fuori dalla cupola, gli altri quattro, investiti dalla vampa dell’esplosione, morirono sul colpo. I proietti avversari, con una precisione incredibile, si abbatterono sulla stazione della teleferica riducendola in macerie. La terza torre, già colpita una prima volta, fu centrata da una seconda granata che provocò il distacco della cupola, rovesciandola sul piazzale sottostante. Le munizioni conservate nella riservetta presero fuoco, minacciando le cariche e i proietti già pronti: gli artiglieri, sfidando l’incendio, riuscirono all’ultimo istante a spegnerlo, evitando così danni ben peggiori.

ALLO CHABERTON

Lo Chaberton si trovava nel più completo caos. Ciò nonostante tutto il presidio, pur consapevole che il bombardamento nemico avrebbe distrutto tante giovani vite, diede esempio di valore e di coraggio, continuando nell’azione. Al calare della sera del giorno del solstizio, il dramma dello Chaberton apparve in tutta la sua evidenza: nel bombardamento erano deceduti nove uomini, fra ustionati e feriti se ne contavano altri cinquanta; sei degli otto pezzi erano completamente fuori uso, la teleferica distrutta. Le linee telefoniche erano interrotte, le comunicazioni possibili solo con la radio. La centralina elettrica era fuori uso, la corrente fornita dal motogeneratore di emergenza. Nella notte i feriti, sistemati su improvvisate barelle portate a braccia dagli uomini del presidio, furono trasportati a valle. Nella terribile giornata che si concludeva, anche gli avversari facevano i conti: gli artiglieri della 6a batteria avevano sparato 57 colpi in tre ore e mezzo e non registravano alcuna perdita.

LETTURA CONSIGLIATA

Il mito dello Chaberton. Storia ed escursioni di Mauro Minola e Ottavio Zetta, Susalibri, 2014.

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