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mercoledì, 11 Dicembre 2024

Il gipeto: il gigante della Valsusa

Il gipeto: il gigante della Valsusa. Il gipeto, chiamato anche avvoltoio degli agnelli, è un rapace molto particolare. Si nutre delle ossa e del midollo osseo delle sue prede. Estinto sulle Alpi nel 1913, è tornato a popolare le nostre montagne grazie ad un ambizioso progetto di reintroduzione. Il suo nome scientifico, gypeaetus barbatus, deriva dalle parole greche gyps, che significa avvoltoio e aetos, che vuol dire aquila. Le sue dimensioni lo rendono uno dei più grandi uccelli europei. L’appellativo barbatus si riferisce ai due ciuffi di piume nere sotto il becco, che formano una specie di barba.

LE SUE CARATTERISTICHE

Il gipeto è un volatile di grandi dimensioni che può raggiungere una lunghezza di 110-115 cm. Ha un’apertura alare di 266-288 ed una coda a forma di rombo lunga 42-44 cm. Il suo peso oscilla tra i 4,5 e i 7 kg. Le femmine sono leggermente più grandi dei maschi. Il piumaggio è marrone, le ali e la coda sono scure, mentre la testa ed il petto sono rossicci. Queste parti tendenti al rosso sono dovute al fatto che i gipeti si immergono volentieri in acqua con alto contenuto di ossido di ferro, tingendo le penne con il fango rossastro. Questa caratteristica non è quindi presente negli esemplari allevati in cattività. Sotto il becco sono presenti 2 ciuffi di piume nere che formano una specie di “barba”. Quando l’animale è agitato il contorno degli occhi diventa rosso luminoso. Contrariamente agli altri avvoltoi, il gipeto non ha la testa calva, ma ricoperta di folto piumaggio. Le sue ali sono inoltre più strette ed il corpo più snello. Un’altra peculiarità è la striscia nera sul muso simile ad una maschera.

L’HABITAT E L’ALIMENTAZIONE

L’habitat ideale di questo uccello è rappresentato da montagne selvagge, con ambienti rocciosi e con una buona presenza di prede. La sua dieta è rappresentata da carcasse di mammiferi, sia domestici, che selvatici, come i camosci. Il gipeto si nutre di ossa e può ingerirne di lunghe fino a 20-30 cm. Se sono troppo lunghe vengono frantumate lasciandole cadere in punti rocciosi da un’altezza di 30-50 m e ripetendo l’azione sino a che non si sono raggiunte le dimensioni desiderate. Grazie al suo becco forte riesce a trasformare in polvere il cibo. La lingua gli permette di estrarre il midollo osseo della preda con una sola mossa. Oltre alle ossa l’animale si nutre di tartarughe. Per vivere ha bisogno di una quantità compresa tra i 250 e i 500 grammi di ossa al giorno. Ogni esemplare necessita di 50 carcasse di mammiferi di medie dimensioni all’anno. Dal punto di vista nutrizionale ha pochi concorrenti in quanto gli altri animali raramente consumano ossa. Riesce ad individuare le carcasse grazie alla sua capacità di sfruttare le correnti termiche ascensionali, planando così per molti chilometri in perlustrazione. Le ali strette e lunghe e la coda a forma di cuneo gli permettono di essere agile anche in spazi ristretti.

LA RIPRODUZIONE

Le coppie una volta formate rimangono insieme per tutta la vita. Nidificano tra i 1.000 e i 2.000 metri lungo le pareti rocciose e possiedono da 1 a 5 nidi che utilizzano alternativamente. Le uova, generalmente due, sono deposte tra gennaio e febbraio e covate da entrambi i genitori. Si schiudono dopo 55-60 giorni ed i piccoli dopo 4 mesi imparano a volare. Molto sovente il secondo nato non riesce ad ottenere cibo e muore per stenti entro 24 – 26 ore dalla schiusa. Il fratello maggiore, anche se sazio, continua infatti a prendere il cibo portato dai genitori, impedendo all’altro di alimentarsi. I piccoli iniziano a cibarsi di ossa dopo 7 giorni. Il gipeto in natura può vivere fino a 25 anni, in cattività fino a 40.

IL SUO STATO DI CONSERVAZIONE

Il gipeto è un uccello che ha rischiato di scomparire per sempre dalle nostre montagne. Nel 1913 in Val di Rhemes è stato infatti abbattuto l’ultimo esemplare presente allo stato naturale sulle Alpi occidentali. Il suo ritorno è stato possibile grazie al  Progetto internazionale di reintroduzione del Gipeto sull’arco alpino. L’iniziativa è stata sostenuta dal WWF Internazionale, dall’ Unione internazionale per la conservazione della natura e dalla Società Zoologica di Francoforte. È oggi gestita e finanziata in gran parte dal VCF-Vulture Conservation Foundation. Sono stati rilasciati giovani esemplari nati negli zoo e nei centri di allevamento europei, che venivano alimentati indirettamente dall’uomo fino al momento della loro indipendenza. Le prime reintroduzioni in Italia sono state effettuate nel 1994 nel Parco delle Alpi Marittime.  Il progetto ha avuto molto successo e nel 2017 si contavano 47 coppie territoriali e 220- 260 individui presenti su tutto l’arco alpino.

LA SUA PRESENZA NELLE NOSTRE ZONE

Nelle nostre zone nel 2020 sono state registrate 90 osservazioni di gipeto. 81 in Valsusa, 2 in Val Chisone, 3 in Valle Germanasca e 4 in Val Pellice. La maggior parte degli avvistamenti sono stati effettuati tra fine gennaio e inizio febbraio, quando gli uccelli sono stati attirati dai numerosi ungulati morti a causa delle slavine. 5 gipeti sono stati avvistati tra il 24 e il 26 agosto, ai piedi del Monte Rocciamelone. Insieme a 100 grifoni approfittavano delle carcasse di ovini lasciate dai lupi. Oggi la specie è minacciata dai prodotti tossici come il diclofenac, un farmaco veterinario antiinfiammatorio e antidolorifico usato nei bovini e nei suini di allevamento. Costituiscono inoltre una minaccia le esche nel terreno per catturare altre prede ed i cavi sospesi. I gipeti, mangiando i resti di animali cacciati dall’uomo, rischiano l’avvelenamento dal piombo presente nelle munizioni usate per la caccia. Dal 2018 l’Ente di gestione delle Aree protette delle Alpi Cozie aderisce all’IBM International Bearded Vulture Monitoring, che si occupa della gestione dei dati raccolti sulle osservazioni dei gipeti.

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